NOIR: VIVO, MORTO o X…?
Sul mensile KULT di Luglio Agosto 2006 (numero doppio) � stata pubblicata un’interessante inchiesta sulla “fine” del noir in cui sono stati intervistati alcuni fra gli scrittori di noir pi� in vista.
MILANONERA ha pensato di riportarla integralmente qui di seguito.
Proprio a maggio avevamo incontrato lo scrittore Jake Arnott, autore di una trilogia nera che, non solo nel Regno Unito, ha appassionato milioni di lettori pur mantenendo una dignit� letteraria che nulla concede al lettore. A stupirci un suo annuncio ufficiale: l’abbandono del genere �noir�. Motivazione? Per Arnott, autore dell’ultimo “Delitti in vendita” (Marco Tropea Editore) � un fenomeno che, almeno in Inghilterra, si � affievolito.
Trasformato in letteratura per voyeur, per feticisti della virilit� intesa come prova di forza e di violenza. Ormai i noiristi scrivono soltanto per �dare un brivido di seconda mano alla vita noiosa di una classe di impiegati pendolari�.
Ma che ne pensano alcuni tra i pi� importanti autori italiani che proprio nel noir hanno trovato la propria fortuna di critica e lettori? Per Raul Montanari, appena uscito con il “thriller psicologico” “L’esistenza di Dio” (Baldini Castoldi Dalai) la fase storica in cui il noir ha scombussolato le carte in tavola a una languente e ombelicale narrativa italiana � passata da un pezzo. Questo infatti � avvenuto agli inizi degli anni ’90, quando un gruppo di giovani autori, la cui scrittura aveva caratteristiche sicuramente letterarie e non di pura funzionalit� all’intrattenimento, ha scelto di esprimersi attraverso il genere e spesso ha pagato questa scelta con l’esclusione da un certo giro di recensioni illustri e soprattutto di premi letterari. A met� del decennio il genere �pulp� si � aggiunto sulla scia di un’azione di rottura che aveva gi� fatto il noir, con la differenza che per le tematiche e lo sperimentalismo di scrittura il pulp � stato adottato da un gruppo di critici di notevole influenza (e competenza), che vedevano in questo fenomeno la riproposta aggiornata dell’avanguardia degli anni ’60 e ’70. Difficile dire quale dei due movimenti abbia avuto la fine pi� lacrimevole. Ora il pulp non esiste pi� e il noir � semplicemente un sotto-sottogenere di una narrativa che a sua volta � stata derubricata a sottogenere del sistema complessivo dell’entertainment. Quanto alla favola che il noir serva ancora a indagare la realt� (e non a fornire principalmente materiale morboso al consumo di un voyeurismo di massa – perfetta la definizione di Arnott), basta a sfatarla la semplice osservazione che una vera narrativa sociale � ostacolata, non certo agevolata, dal patto con il lettore che il noir stabilisce fin da subito: io ti regaler� anzitutto emozioni, ti dar� il gusto di vedere la nave degli altri affondare nel sangue, mentre tu stai sulla riva con un aperitivo in mano.
Di parere opposto � il giovanissimo Paolo Roversi che con il suo Blue Tango (Stampa Alternativa) in pochi mesi � giunto alla seconda edizione: �Credo che il noir sia ben lontano dal tramontare, per una ragione molto semplice: rappresenta lo specchio della nostra societ�. Una sorta di telescopio puntato sul mondo che lo descrive in un preciso momento storico, evidenziandone pregi e difetti; che racconta come si comportano e come vivono le persone, che abitudini hanno, quali sono i loro desideri, le loro paure. In ultima analisi, la loro vita reale. Il lato pi� oscuro, certo, ma pur sempre importante. Credo sia proprio per questa ragione che la gente ne � cos� attratta. Non per voyeurismo o morbosit�, ma per curiosit� e, forse, anche per una sorta di egocentrismo: tutti vogliamo sentirci raccontare di noi stessi, essere in qualche modo protagonisti. In questo senso, il noir contemporaneo riveste, secondo me, una precisa valenza critica: descrivere, e quindi esorcizzare, le nostre paure. Oggi pi� di ieri, infatti, lo scrittore deve essere testimone attento ed implacabile dello stato di degradazione della societ� perch� � proprio da qui che trae la sua ispirazione. La linfa vitale delle storie nere che leggiamo � data proprio da quei principi che sembrano non funzionare pi�, che si corrompono. L’autore di noir dove coglie una falla, s’inserisce e prolifera: racconta e mostra gli aspetti pi� crudi del mondo che ci circonda, trasformandosi, spesso, in megafono di denuncia sociale�.
Per Franz Krauspenhaar, autore milanese di origine tedesca, dal cognome complicato ma caratterizzato da una scrittura ipnotica e serrata (basti pensare al suo ultimo Cattivo Sangue, B&C Dalai) il noir deve iniziare ad andare oltre se stesso, perch� ha ancora molto da dire anche in senso sperimentale. �Per quanto riguarda il genere codificato, penso che corra il rischio di essere penalizzato proprio dall’industria culturale che lo alimenta. E a furia di etichettare indiscriminatamente come noir qualsiasi narrazione che contenga vittime, carnefici, armi da fuoco e poliziotti, finir� che certi libri che si servono in maniera creativamente strumentale dei topoi del genere per aderire in maniera avvincente ai problemi creati dal malessere contemporaneo della civilt� occidentale, (questo secondo me caratterizza il noir migliore) verranno definitivamente annullati dai thriller aeroportuali a una dimensione. Questi, infatti, stanno gi� creando una saturazione che potrebbe portare dritta al tramonto. Ma, nemmeno tanto paradossalmente, il tramonto del genere codificato potrebbe coincidere con quanto ho detto all’inizio, vale a dire che questo tramonto potrebbe corrispondere alla stessa liberazione del noir da se stesso come genere, dunque con la sua entrata definitiva nel grande flusso della Letteratura�.
Anche per Piergiorgio Di Cara (da pochi giorni in libreria con Vetro freddo, E/O Edizioni) il noir come genere letterario � tutt’altro che morto, o sbiadito. �In Italia mi sembra vitale, ne � prova il proliferare di collane, di festival e di iniziative in qualche modo collegate al genere. Forse c’� sovrabbondanza, e spesso i libri che vengono pubblicati peccano nella qualit� della scrittura, della ricerca linguistica, che alla fine ritengo debba essere il compito e la preoccupazione di ogni scrittore. C’� in giro, almeno mi pare, un po’ di pressapochismo, un ricadere nel topos letterario del genere, cos� leggiamo libri con una ridda di morti ammazzati, di violenze e crudelt� di ogni tipo, a volte anche efficaci, ma ripeto poca attenzione alla qualit� del tratto. Il rischio, temo, � che il genere degeneri, e si arrivi ad una poltiglia di sangue e ossa rotte e niente pi��.
A Pietro Colaprico, da vent’anni inviato di cronaca nera per il quotidiano Repubblica e in libreria con il suo ultimo “La quinta stagione” (Rizzoli), non piace parlare di genere noir e genere giallo, ma preferisce la dizione tedesca di �Krime�, storie insomma dove c’� un delitto, un criminale, un investigatore, o almento uno dei tre elementi. �In questo momento, in Italia – spiega l’autore – i libri di letteratura non Krime sono tutti o prolissi, o sballati, o ombelicali, nel senso che parlano di cose che proprio non interessano pi� nessuno, usando prospettive vecchie, ripetitive, o un linguaggio alto, artificioso, che finisce per stroncare anche il pi� benintenzionato. Non ce n’� uno – purtroppo per me, lettore un tempo molto forte – che possa sognarsi di stare al passo con la media dei buoni scrittori stranieri che vengono tradotti in italiano, nessuno che possa paragonarsi a Buzzati, Sciascia, Testori, Calvino, gli ultimi dei grandi. Magari cresceranno, ma per ora pi� che tirarsela da grandi, non fanno. Per i �Krime�, invece, il discorso � diverso. Prima di questa generazione, c’erano pochi nomi di �fratelli maggiori�, Scerbanenco su tutti, quindi da parte nostra si sta �inventando� qualcosa che in Italia non c’era: siamo in forte ritardo, � vero, ma la situazione ricorda un po’ la scapigliatura alla fine del romanticismo. Almeno c’� un po’ di tensione e, sulla linea del Piave dei lettori, siamo gli unici che resistiamo, chi pi� chi meno, nell’offrire qualcosa che non sia proprio scontato. C’� ricerca di linguaggi, situazioni, trame e, soprattutto, si usa la memoria e la realt�, rivisitando il marcio che c’� intorno a noi, dalle gang alle citt�. Ora, da quando il mercato ha premiato il genere, gli editori hanno pensato che splatter e sangue e sesso fanno vendere bene – Faletti � stato l’apripista di questa falsa credenza – e quindi hanno provato a lanciare a rotta di collo nuovi talenti che talenti ancora non sono. Il risultato, vorrei dire il prodotto, non � stato dei pi� eccelsi, ha regalato scene per stimolare il lato maniacale, sadico, autoerotico del lettore medio, proprio come dice Arnott per l’Inghilterra. Penso che se avessero puntato pi� sulla qualit� e meno sull’effettaccio non staremmo qui a fare questo discorso, se gli autori in cerca di fama non fossero disposti a tutto per essere pubblicati, idem. Per� credo che quelli bravi non abbiamo ceduto e anzi, secondo me, il noir italiano � ancora alla sua primavera, non all’autunno. Sta crescendo e, forse, crescer� di pi� quando ci si butteranno gli scrittori figli di immigrati�.
Per Luca Di Fulvio, autore de “L’impagliatore” (Einaudi) e dell’ultimo “La scala di Dioniso” (dal quale Gabriele Salvatores ha tratto la sceneggiatura per il suo prossimo film) la prima raccomandazione che si fa in teatro a un attore �: �Non spremere il limone�. �� un modo di dire che non necessita di grandi spiegazioni. Significa non enfatizzare, non cercare l’effetto per l’effetto, non pretendere troppo da una battuta o da un’emozione, da un ingresso o da un’uscita di scena. B�, ho l’impressione che per il noir il limone sia stato spremuto. E per� molti di noi, indagandolo � e magari rimanendoci impantanati �, non hanno semplicemente sperimentato le regole del genere ma si sono spinti fino ai perimetri estremi, a volte addirittura sconfinando, e scoprendo � almeno dentro di noi � terre fertili o deserti aridi. Comunque abbiamo quasi tutti buttato l’occhio � e le scarpe � pi� in l�, con paura o desiderio, con ansia o eccitazione. Non so se il noir � morto. Commercialmente ha vita e ancora ne avr�. Certo stanno cercando di ammazzarlo in tutti i modi, raccontandoci che � andato al potere, trasformandolo in un gadget. Io penso che molti di noi non scriveranno pi� noir in senso stretto ma � qualsiasi cosa scriveremo � sar� un colore, un odore, un sapore che ci rimarr� appiccicato per sempre, che sar� un po’ la natura del nostro scrivere, come una musica dalla quale si discende, sia essa blues o jazz o rock o pop…�.
Gian Paolo Serino