La casa editrice Le Assassine continua nella sua scelta di divulgare in Italia gialli e noir di scrittori non conosciuti e provenienti spesso da culture “altre”.
In “Echi dal silenzio” la protagonista è Ai Lian, giovane malese di etnia cinese, che studia in Germania. E’ proprio lì che incontra e si innamora, ricambiata, di Michael, un ragazzo inglese nato e cresciuto proprio in Malesia, dove il padre possiede una piantagione.
Ai Lian accompagna Michael in Malesia, sia per conoscere il futuro suocero, sia per rivedere i suoi genitori. Purtroppo il padre di Ai Lian è malato e muore dopo il suo arrivo, ma non è l’unica tragedia che colpisce la protagonista. Appena arrivata nella piantagione di Michael, Cynthia, la giovane fidanzata del futuro suocero, viene trovata barbaramente uccisa nella piantagione. In questo romanzo pare sia il caso a governare le vite di tutti, e quando non è il destino, allora sono i vari personaggi a prendersi la responsabilità di modificarlo in modo egoistico e a volte crudele.
Se aggiungiamo al delitto il fatto che Cynthia era stata fidanzata fino a poche settimane prima con Hafiz, un giovane brillante malese che è amico fraterno di Jonathan, capirete subito che la vicenda è assai intricata e ci sono vari indiziati con motivazioni diverse.
Ai Lian aveva già conosciuto Cynthia a una festa a Londra, quando era in compagnia del precedente fidanzato, e le era sembrata molto bella ma anche felicissima e innamorata.
Subito dopo la sua morte, Ai Lian scopre dei lati insospettati della vittima: l’attenzione per il prossimo, la fede, la passione per la natura e la pittura. In verità alla protagonista sembra di aver avuto a che fare con due ragazze ben differenti, e le motivazioni che hanno portato la vittima a rompere il fidanzamento con il giovane Hafiz, di cui pareva innamoratissima, e a fidanzarsi con l’anziano Jonathan, rimangono un mistero.
In verità tutto il romanzo gioca sul tema del doppio, nel senso della duplicità delle persone e delle loro motivazioni vere e quelle recondite. A fare da fil rouge all’intricata vicenda e alle indagini ci sono ancora duplici oggetti: due pistole scomparse in epoche diverse, o forse una sola, e due collane di diamanti, anch’esse di epoche diverse, ma che paiono una sola collana che scompare e riappare.
E spesso echeggia qua e là il richiamo a quel capolavoro che è “L’importanza di chiamarsi Ernest” che Wilde declinava sul grottesco ironico, mentre l’autrice vira il tema sul tragico.
Al di là della trama del giallo, affascinante è l’ambientazione malese del romanzo (non pensate a una versione aggiornata dei romanzi salgariani!). E ancora di più la descrizione sociologica e psicologica dei personaggi e delle difficoltà che trovano a rapportarsi chiaramente l’uno con l’altro, a causa dell’etnia differente: malesi, cinesi, euroasiatici. Tanto che alla fine i personaggi più generosi, empatici e malleabili sono proprio gli inglesissimi Jonathan e Michael. O almeno così vuole farci credere l’autrice del romanzo, che è di nazionalità malese ma ha scritto il libro in inglese. Nonostante questo, il libro ha uno stile prettamente esotico, assai lontano dal classico giallo/ noir europeo o americano, e se da un lato questa sua “etnicità” rende a volte difficoltosa la lettura, dall’altro ci fa immergere in un mondo assai diverso dal nostro.
Grazie quindi all’autrice Guat Eng Chuah, che ci ha avvicinato alla Malesia e alla sua storia e cultura, e alla traduttrice Marina Grassini che deve aver faticato non poco a districarsi fra i personaggi dai doppi nomi.