In occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo, L’ultima notte di Aurora, MilanoNera incontra Barbara Baraldi per due chiacchiere.
Ciao Barbara, inizierei con i titoli dei tuoi romanzi. Aurora nel buio, Osservatore oscuro, L’ultima notte di Aurora. Titoli che rimandano al buio, alla notte, in contrapposizione con il nome della protagonista, Aurora, cioè l’alba, la luce. Da cosa nasce questo contrasto che hai creato?
C’è una frase di Mark Twain che ho sempre amato: Ognuno di noi è una luna: ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno. È più forte di me indagare questo lato nascosto dell’animo umano, quello in ombra, che ci preoccupiamo non esca mai allo scoperto perché, forse, temiamo di non essere in grado di controllare. Per farlo avevo bisogno di una luce abbastanza forte per illuminarlo. Ecco così Aurora.
Aurora Scalviati, profiler del buio. Non solo il buio che la circonda, il lato oscuro dell’animo umano nel quale si trova a scavare, ma anche il buio dentro di lei, il suo lato oscuro personale. Esiste una Aurora prima, e una Aurora dopo, l’una nasce dove l’altra finisce. Lo spartiacque è un evento traumatico, successo di notte (queste tenebre che continuano a ritornare nei tuoi romanzi) che segnerà la vita di Aurora per sempre. Come mai hai deciso di iniziare la tua serie di romanzi con un personaggio così travagliato?
Forse perché in questo mi assomiglia. La mia vita non è mai stata facile, con uno “spartiacque” costituito dal terremoto dell’Emilia; vivo nell’epicentro e nel corso di una notte mi sono trovata a perdere molto di quello che avevo faticosamente costruito nel corso degli anni. Ogni certezza si è infranta di fronte a un evento che non era possibile prevedere né controllare. È stato durante quelle notti passate all’aperto, senza sapere se sarei mai più potuta rientrare nel mio appartamento, che è nata l’idea di una poliziotta che credeva di aver dato un ordine alla propria vita e che si ritrova a dover ricominciare da capo. Con ferite, nell’anima e nel corpo, che sa che non potranno mai guarire del tutto, ma con cui deve imparare a convivere. La sua caparbietà nell’affrontare i suoi problemi ha aiutato anche me ad affrontare le difficoltà.
E continuiamo a parlare di Aurora. Compie dei gesti ripetitivi. Quando è nervosa, gioca con l’anello che porta al pollice, simbolo di quello che ha perso, si tocca sempre il porta-pillole che indossa come una collana, che rappresenta l’Aurora che è diventata, si sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sfiorando la cicatrice sulla tempia, il ricordo di quella famosa notte. Aurora è un personaggio diviso a metà, costantemente.
Chi può dire di aver risolto i suoi conflitti con il passato? Chi può affermare di aver superato ogni trauma, perdonato ogni torto, accettato senza riserve (e sensi di colpa) i momenti di felicità? Per Aurora è la stessa cosa. Ogni giorno cerca di essere se stessa, nonostante vestire i suoi panni non sia proprio una passeggiata. La frattura del suo mondo interiore è difficile da risanare, ma lei non lascia nulla di intentato. Si mette alla prova senza riserve, è costantemente alla ricerca di un percorso, di un metodo di elaborazione del suo passato. E ogni romanzo racconta a suo modo un passo verso la persona che sta diventando.
E ambigue sono anche le sensazioni che suscita nello scrittore. La tenerezza, così scricciola, passami il termine, ma temeraria, testarda, che va avanti per la sua strada contro tutto e tutti. Ma anche la rabbia, nel vederla così risoluta, tanto da non riuscire a fidarsi di nessuno, da non sapersi rapportare con gli altri.
Non c’è dubbio che Aurora sia una persona difficile con cui rapportarsi! Dopotutto, è una donna in un mondo di uomini, e per sopravvivere ha dovuto indossare una corazza difficile da mettere da parte. D’altro canto, mi ha fatto immensamente piacere scoprire quanti lettori si siano identificati in lei, che non nasconde le sue fragilità e cerca di andare avanti nonostante le difficoltà, di superare i suoi limiti.
C’è un’evoluzione nei tuoi personaggi, dal primo a questo romanzo, il terzo della serie. I co-protagonisti diventano più vividi, più tridimensionali, sono a tutti gli effetti parte integrante della storia. Quello che mi ha colpito di più è sicuramente Curzi, che sembra l’unico in grado di scalfire la corazza di Aurora. Cosa ti ha ispirato nel riuscire a creare un personaggio così emblematico?
La prima fonte d’ispirazione è stata il Kurtz di Cuore di tenebra, in particolar modo l’interpretazione che ne ha dato Marlon Brando in Apocalypse now. Curzi è un uomo che vive nell’ombra del suo stesso senso di colpa, colui che ha attraversato l’orrore e ne è uscito così devastato da decidere di allontanarsi spontaneamente dalla società. Curzi non ha più niente da perdere, e forse proprio per questo non ha alcun interesse nel nascondere le verità, anche le più scomode. Qualcuno ha visto una somiglianza nel suo rapporto con Aurora Scalviati con il rapporto tra Hannibal Lecter e Clarisse Starling nel Silenzio degli innocenti, e si tratta di un parallelo gradito ma non esattamente “voluto”.
Nel tuo ultimo romanzo, L’ultima notte di Aurora, affronti il tema della coscienza, un tema che hanno trattato ed affrontato filosofi e psicologi. La salute mentale, i disagi psichici, la coscienza e i traumi emotivi sono tutti argomenti non facili da trattare e di cui ancora oggi si fatica a parlarne. Cosa ti ha spinto a metterli al centro dei tuoi romanzi?
Se ne parla davvero troppo poco, in Italia, delle condizioni mentali. C’è tanta disinformazione, tanti pregiudizi al punto che chi ne è affetto finisce per essere quasi stigmatizzato. Eppure, chi può dire di vivere un’esistenza perfettamente equilibrata, libera da nevrosi, di non aver mai provato una crisi d’ansia, un attacco di panico, di compiere scelte impeccabilmente dettate dalla ragionevolezza? È un argomento, questo, in cui ovviamente non sento di avere alcuna risposta, ma su cui credo sia necessario sollevare domande. Per quanto riguarda la coscienza umana, si tratta uno dei grandi misteri irrisolti delle moderne neuroscienze, quindi quale argomento più appropriato per un thriller psicologico?
E ora passiamo a te, Barbara. Ti ho incontrato di persona un paio di volte. Sei timida, entri in scena quasi in punta di piedi, con la paura di disturbare, quando in realtà siamo tutti presenti per te, per sentire la tua voce. Quanto hai lavorato su te stessa, per riuscire ad affrontare il pubblico?
Da ragazzina ero estremamente timida, al punto che persino le interrogazioni, in classe, erano emotivamente impegnative. Nonostante le complicazioni del mio carattere, ringrazio la bambina che ero, che parlava poco ma che osservava molto, che faticava a fare amicizia ma leggeva fino a quattro libri a settimana, perché è proprio per merito suo se sono diventata una scrittrice. Durante tutti questi anni di presentazioni letterarie, mi sono impegnata per addomesticare la parte più schiva del mio carattere, compreso il disturbo da ansia sociale che da sempre mi affligge, perché considero una grande opportunità e un privilegio il poter incontrare i lettori. Anche per questo, cerco di rendere ogni evento un’occasione di confronto e inclusione.
Un’altra cosa che mi ha molto colpita del tuo modo di scrivere, è la cura nei dettagli. Ogni scena, ogni dialogo dei tuoi romanzi è descritto in ogni particolare, quasi fosse un quadro che stai dipingendo con le parole per i tuoi lettori. Sappiamo che ti occupi anche di fumetti, dove tutto è espresso in un disegno, un’immagine. Come si influenzano l’una con l’altra queste tue attività?
Quando scrivo procedo a “visioni”, come se un film (o un fumetto) mi passasse davanti agli occhi. Quello che faccio è descrivere quello che vedo. In questo senso, passare dalla narrativa “scritta” a quella “disegnata” è stato un passaggio naturale, con la differenza che il mio primo lettore è il disegnatore che dovrà vedersela con la sceneggiatura. Il mio lavoro su un fumetto seriale come Dylan Dog, che richiede una certa dose di pianificazione per non rischiare di sforare il numero di tavole, ha influenzato anche il mio modo di scrivere romanzi. Se un tempo tendevo a privilegiare una scrittura istintiva, ora cerco di mediare questa mia tendenza con una maggior dose di pianificazione, pur mantenendo buoni margini di improvvisazione.
L’ultima domanda: quando tornerà Aurora?
Ancora non lo so. Aurora mi ha abituata così: è lei a far sentire la sua voce quando ha una storia da raccontare. Bisognerebbe chiederlo a lei…
MilanoNera ringrazia Barbara Baraldi per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a L’ultima notte di Aurora
La foto di Barbara Baraldi della nostra copertina è di Dusty Eye.
La foto all’interno dell’intervista è di Laura Penna.