Barcellona. 1997. Il grande Manuel Vazquez Montalban aveva allora 58 anni, sarebbe morto per infarto sei anni dopo, il 18 ottobre 2003 a Bangkok. Durante tutto un mese pubblicò su “El Pais” un romanzo di 28 puntate, intitolato “La muchacha que pudo ser Emmanuelle”, protagonista l’appena uccisa bella intrigante sarcastica buona Helga Muchnik Singer, argentina di nascita e successo, poi barbona cicciona in Catalogna. L’antropologa 63enne Dorotea Samuelson, capelli biondi (tinti) e occhi verdi, l’aveva conosciuta a Buenos Aires e chiede al mitico sexy investigatore Pepe Carvalho di trovarla. A quel punto Pepe partecipa alle indagini sull’efferato omicidio. La dolce Charo (prostituta anche telefonica e fidanzata di vita) fa la receptionist ad Andorra, il cuoco Biscuter è ormai associato all’agenzia, l’amministratore avvocato Fuster è sempre pronto a dare una mano, c’è di che narrare, fra polizia post-franchista, barboni universali, bordelli in svendita e, soprattutto, gruppi parapoliziali spagnoli e argentini che terrorizzano e torturano. Il detective brucia come sempre molti romanzi, anche Mendoza. E, ancora, la prigione incuba desideri e riflessioni. Altre morti e altri pestaggi, altri infiltrati e altre amanti accompagnano nel plebeo Barrio Chino l’imperdibile gaudente poeta gourmet Montalban (“La bella di Buenos Aires”, Feltrinelli 2013, pag. 158 euro 10; trad. Hado Lyria, l’amica di sempre). Per me un vero grande “comunista ironico”. Segnalo la prepotenza di Ros, a pag. 113. E’ un romanzo scandito dalla pubblicazione diurna, da tanti mini finali e mini incipit, leggetelo! E’ il filone storico malinconico del decennio finale, sempre Manolo, capitelo! Lo intervistai a cattolica nell’estate 1987, l’ho tutto letto e recensito (più affabulato nell’ultimo periodo). Tanghi. Appuntate ricette a pag. 71, 105, 126.
La bella di Buenos Aires
valerio calzolaio