Pause di riflessione – Lo spazio nero 10

Sono sempre piů convinto che esistano validi motivi per fermarci. Di tanto in tanto. E per riflettere. Sempre. I tempi vuoti, i silenzi, gli spazi bianchi non servono solo a contornare le parole – scritte o dette – o le azioni – raccontate o eseguite – sono essi stessi espressioni. E forti.

E l’aveva capito anche – musicalmente parlando – John Cage.

Era il 1952 quando, durante un concerto destinato a diventare storico, venne suonato il brano per pianoforte 4’33”. O meglio: non venne suonato.

Poiché quei 4’33” erano di puro silenzio.

Cage stesso, durante un’intervista disse: “Sentivo e speravo di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell’ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto piů interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto”.

Si potrebbe riuscire a fare altrettanto con la parola scritta? Con un testo bianco? Tentativi, a partire dai vuoti futuristi del primo 1900, ce ne sono stati ma mai hanno sortito lo stesso tipo di effetto. Un libro bianco sostanzialmente rimane un libro. Eppure, il vuoto delle parole puň riempire spazi densi di significati.

Il troppo detto, il troppo scritto, il troppo espresso sono – a mio modo di vedere – troppo chiassosi, troppo caotici. Troppo “chiari” e in quanto tali, pericolosi. Per “Lo spazio nero” di ciascuno di noi.

Fermarsi a riflettere, raccontare il silenzio, ascoltare il nulla – che non esiste – possono darci nuove spinte e rinnovate emozioni. Forse.

Io, comunque, ci voglio provare. Per questo motivo anche “Lo spazio nero” tacerŕ per qualche settimana: fino al 10 gennaio prossimo, precisamente.

Buone feste a tutti e se ne avrete voglia, continuate pure a scrivere le vostre opinioni e le vostre riflessioni, su questo e sui precedenti temi, nei commenti. Ogni tanto, per rimanere tale, anche il silenzio dev’essere interrotto.

Fabio Fracas

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