L’ananas no – Cristiano Cavina



Cristiano Cavina
L’ananas no
Bompiani
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Manolo Moretti ha poche ma salde certezze.

Per l’ex sovrintendente della polizia penitenziaria reinventatosi pizzaiolo, rispettare il tradizionale assortimento del menù pizze è un punto d’onore. Come gli astrologi fanno riferimento al cerchio zodiacale per predire l’oroscopo, vaticinare il carattere di un cliente in base all’ordine sul blocco delle comande è per lui un rituale irrinunciabile.

Le sue predizioni non sbagliano mai: un uomo col senso pratico è senza dubbio un tipo da prosciutto e funghi, il raffinato intellettuale non può rinunciare alla bufala con basilico e San Marzano e il tipo con le maniche arrotolate della camicia che ordina una bresaola rucola e grana  sicuramente è un ispettore di polizia.  … Quelli che invece ordinano per telefono, col gusto sadico di cambiare tutti gli ingredienti arricchendo la Telecom e migliorando il catalogo delle sante imprecazioni, ecco quelli sono dei potenziali serial killer.

L’improvvisa introduzione della variante « ananas » nel menù del Gradisca a Galatea a Mare, ultima trovata acchiappa turisti dopo il calzone alla nutella, è pertanto vista da Manolo come un’eresia foriera di guai. 

Ed è così che, puntuale come un orologio svizzero, il morto non tarda a saltar fuori. L’incubo di una serata di fine estate ha per protagonista il Dottor Quadalti, il commenda della situazione, e la sua pittoresca badante sudamericana. L’apparente arma del delitto sono i porcini freschi di raccolta campestre e Manolo, che li ha generosamente elargiti a farcire il suo capolavoro, a dispetto della certificazione dell’ “AUSL”, è nei guai fino al collo. 

Quasi certamente uno scherzo del destino che costringerà il simpatico pizzaiolo a superare le sue crisi misantrope per scendere direttamente in campo come detective del tutto estemporaneo, mettendo le mani in pasta questa volta nel vivo delle indagini. 

A fargli da coro, la pittoresca tribù dei personaggi che lo circondano al Gradisca, a partire dal suo capo un ex detenuto (manco a dirlo!) che fa dell’impegno civico un punto d’orgoglio: Vittor Malpezzi, rigorosamente pronunciato senza la “c”. 

Il Gradisca infatti è anche la casa famiglia di una serie di ragazzi ripescati dal riformatorio per essere indirizzati sulla retta via grazie al programma di inserimento scuola- lavoro, come Mohammed detto Momo, sedici anni ripuliti dal mondo dello spaccio. 

C’è poi il pakistano Zafàr , appassionato di soap-opera e sempre in conflitto con la moglie, la cameriera Channel aspirante detective, e infine la Gina: ottant’anni per gamba e lo straccio perennemente in mano, quando non è appoggiato sulla spalla, che pare un senatore romano preceduto dalla nuvola di Paperino del suo stesso fumo.

Questa variopinta caravana che affianca Manolo è in pratica lo specchio della sua stessa vita, non di certo priva di alti e bassi, che lo ha portato ad accamparsi in un camper sotto sequestro per debiti, in una situazione familiare tutt’altro che pacifica dove la passione culinaria gli ha fatto da salvagente.

Impastare, per lui, è un atto zen, la fuga dal mondo da cui è costretto a sottrarsi, suo malgrado e per nostra fortuna, per le circostanze di forza maggiore di questa storia.

La scrittura di Cavina è densa e gustosa come il ragù delle migliori lasagne. Il rischio, come con la miglior cucina di origine popolare, è che non bisogna lasciarsi ingannare dalle pagine traboccanti convivialità scambiandola per cosa da poco. 

Dietro a questa narrazione che ha i tratti del parlato si percepisce una stratificazione che parte dal Guareschi, abbraccia l’universo felliniano e arriva ai giorni nostri portando la malinconia delle melodie di Vinicio Capossela. 

Come un ottimo Lambrusco, sincero e genuino, invecchiato nelle botti di rovere, ogni paragrafo trasuda scene di vita vissuta, personaggi e volti che hanno un loro definito carattere e un mondo da esprimere, che la penna di Cavina tratteggia come un tempo i pennelli dei macchiaioli e le espressioni sui volti di Pellizza da Volpedo. Quelle espressioni riadattate all’oggi, alla società multietnica che popola il personale del Gradisca, i volti e le storie dei colleghi di Manolo, in contrapposizione al piccolo  mondo borghese coi piedi sotto ai tavoli, e spesso una gamba nella fossa. 

La  personalità di Cavina riesce a mettere insieme una trama avvincente che è anche il collante di un appassionante romanzo corale che lascia presagire un possibile sequel (speriamo!).

Attraverso gli occhi disincantati di Manolo si conoscono le tante storie che danno vita, sullo sfondo, alle sottotrame di un mondo in evoluzione.

Divertente, pirotecnico e scorrevole: praticamente perfetto per questa estate !

Silvia Alonso

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