Mirko Giacchetti, il super inviato di MilanoNera nel mondo del cinema, ha intervistato Jacopo Rondinelli tra i finalisti al Premio Caligari 2018 con Ride.
Oltre che regista sei anche musicista, hai fondato con Livio Magnini ed Emilio Cozzi il collettivo Jetlag. Nel corso della tua carriera hai attraversato diverse forme di comunicazione realizzando videoclip per molti cantanti e hai lavorato nella pubblicità e nella televisione, ora sei approdato al cinema. Esiste un comune denominatore tra queste discipline o sono separate tra loro?
Essere regista per me significa prima di tutto essere un narratore e saper gestire tutti gli elementi che compongono il racconto. Sento quindi l’obbligo di essere curioso, intraprendente e di vivere in prima persona più esperienze possibili, addentrandomi in diverse forme di comunicazione. La musica e la scenografia (ho fatto lo scenografo per anni) sono state fondamentali per il mio percorso e hanno contribuito a formare la mia poetica come regista; quindi direi che più che esserci dei comuni denominatori li sento come parte dello stesso discorso.
In Ride hai utilizzato molte camere go-pro. Una scelta che rende il tuo lavoro sperimentale rispetto agli standard a cui siamo abituati. In molti tra critici e spettatori appena sentono “sperimentazione” storcono il naso. La società in cui viviamo è cambiata rispetto al passato al punto che si devono trovare nuove forme per rappresentarla o dobbiamo avere “paura” della sperimentazione?
Sicuramente negli ultimi anni l’estetica comunicativa è cambiata sensibilmente, grazie soprattutto ad internet e ai social network. Tutto ciò ha aperto nuove frontiere e fatto saltare gli schemi che da anni erano dettati solo dal cinema e dalla televisione, dando vita a linguaggi molto più complessi e sperimentali. La differenza per me la fa sempre la forza del racconto, che sia portato avanti in modo classico o con delle telecamere GoPro, se il linguaggio è funzionale al racconto la sperimentazione non diventa un vezzo ma parte stessa della storia e viene sicuramente accettata e digerita meglio dallo spettatore che la vive come valore aggiunto.
Seppure con mezzi ed effetti differenti, sia l’arte che i reality show imitano la vita. Ci stiamo specchiando in uno specchio nero, ormai è del tutto evidente che abbiamo perso la bussola e cerchiamo di traslocare nel virtuale. Secondo te quanto tempo manca alla messa in onda, magari in prima serata, di show come Running Man, Orso bianco o lo stesso Ride?
Quasi senza rendercene conto ormai siamo diventati i produttori del nostro show personale, promuovendo le nostre avventure attraverso canali come Facebook, Twitter e Instagram, dove la reputazione digitale ha un peso non indifferente nella vita reale. Ride parla proprio di questo, di come ormai i confini siano totalmente saltati e di come si sia perso il senso critico nel rapporto tra il reale e il virtuale. Ormai mi aspetto di tutto e credo che con l’avvento del VR e della realtà aumentata ne vedremo ancora delle belle.
Ancora prima della composizione della colonna sonora, alcuni registi del passato – e anche del presente – giravano le scene immaginando sia la musica che le avrebbe accompagnate e il montaggio che le avrebbe rese un film fatto e finito. È così anche nel tuo caso? Te lo chiedo perché il montaggio di Ride deve essere stato un incubo, o sbaglio?
Mentre giravo il film io e gli autori avevamo in mente precise soluzioni dal punto di vista sonoro, soprattutto perché le musiche in questo caso più che una vera e propria colonna sonora sono parte stessa del racconto e vengono diffuse dall’organizzazione segreta che ha creato la gara per i protagonisti del film. Poi in montaggio abbiamo provato diverse combinazioni tra musica e immagini, dando vita a momenti molto adrenalinici ed altri estremamente distensivi. Il montaggio è durato circa sette mesi, un lavoro certosino ed estenuante!
Nonostante ci sia in atto una rinascita del cinema italiano non deve essere facile essere un esordiente. Ci vuoi parlare del tuo legame artistico con Fabio & Fabio, i due registi di Mine?
Conosco i Fabio e collaboro con loro da parecchi anni. Ho lavorato in passato su loro progetti e loro sui miei, creando quindi un rapporto di amicizia e stima professionale che ci ha portato a lavorare insieme sul film. Per progetti così atipici come Ride, fuori dagli schemi rispetto allo standard cinematografico italiano, è fondamentale unire le forze e creare un sistema produttivo che tenga conto di tantissimi aspetti, soprattutto per l’enorme mole di effetti speciali presenti nel film. Sia io che i Fabio siamo abituati a gestire produzioni complesse, dove i problemi e gli imprevisti sono all’ordine del giorno e dove si tende a non accontentarsi mai ma ad alzare sempre l’asticella. In Italia non siamo in molti ad avere questo approccio, ma grazie a persone come noi, Mainetti, Rovere, Sollima credo sia evidente che il cinema stia prendendo nuove strade, vivendo una sorta di rivoluzione che spero porterà a prodotti sempre più internazionali e innovativi.
MilanoNera ringrazia Jacopo Rondinelli per la disponibilità