La letteratura, la realtà e tutto il resto.
Ci fu un tempo in cui dei fogliacci spacciati per riviste pubblicavano una montagna di spazzatura messa assieme da scribacchini pagati qualche cent per ogni parola scritta. Canovacci senza alcun valore, privi di sensibilità e ingegno narrativo, popolati da personaggi dalla dubbia moralità per lo più invischiati in sordide attività criminali. Negli Anni Quaranta esisteva chi inorridiva se la vittima in un romanzo non era pettinata secondo la foggia dell’epoca, abbigliata in maniera consona per l’occasione e non giaceva composta sul tappeto buono del salotto di Mr. Plumb.
Per fortuna molti di questi pregiudizi “aristocratici” sono venuti meno nella letteratura di genere, gli scrittori hanno seguito l’esempio di Hammett restituendo l’omicidio all’uomo comune e, con stili e profondità differenti, hanno abbandonato i gialli a orologeria per scavare a fondo tra le zone grigie della società.
Spesso mi sento chiedere perché sia un appassionato di romanzi crime quando c’è abbastanza cronaca nera per essere disgustato dalla brutalità che ogni assassinio porta con sé. La mia è prima di tutto una debolezza, una consolazione che offre la letteratura nell’individuare l’assassino e marchiarlo per il crimine commesso. In seconda battuta è il desiderio di stare lontano dalla spazzatura; in molti telegiornali o presunti programmi di approfondimento il delitto viene eviscerato solo quando eccessivamente torbido ed è reso patetico da toni da soap opera adottati per presentarlo al pubblico. Questo è un problema molto più profondo e riguarda soprattutto il giornalismo contemporaneo che ha sacrificato l’essenzialità della cronaca per trasformarsi in spettacolo a cui si somma l’influenza che il potere economico e/o politico esercitano nel condizionare l’opinione pubblica.
Ormai sembra che solo nelle opere di fantasia non sia importante quanto si è potenti quando si è colpevoli. Ecco perché consiglio la lettura de La consistenza del sangue.
La consistenza del Sangue -L’omicidio di Porta Lame di Massimo Fagnoni, edito da Giraldi Editori. Un’opera che potrebbe incoraggiare il passaggio dalla fantasia alla realtà.
Giuseppe Castaldi è un commissario di Polizia prossimo alla pensione. A un mese esatto dal lasciarsi alle spalle i crimini che hanno macchiato di sangue Bologna si trova invischiato in due casi all’apparenza già risolti: l’efferatezza della strage familiare compiuta dal professor Saverio Tamarri e il suicidio del collega Umberto Masi.
Ma dai dettagli delle indagini emergono alcuni indizi che collegano le tragedie tra loro e indicano la soluzione nelle trame della “migliore” società bolognese.
Come sempre Massimo Fagnoni va oltre il romanzo. Non si limita a descrivere fatti ma immerge il lettore nella psicologia dei protagonisti e lo lascia naufragare nel decadimento culturale e umano del nostro presente che si manifesta nella corruzione dei valori del ceto benestante, l’eccessiva rabbia ed egoismo degli ultimi portata dalle incerte sorti economiche ma anche i connotati dell’incomprensione tra diverse generazioni di colleghi o la più personale precarietà della sfera dei sentimenti. L’autore è un narratore, riesce bene nel mostrare chi o cosa siamo diventati ma senza appesantire la lettura con della retorica spicciola o armando le parole con giudizi e pregiudizi di bassa lega.
La consistenza del sangue – L’omicidio di Porta Lame
Mirko Giacchetti