Dopo la tela nera, Thrillernord la bottega del giallo, 50/50 thriller Una pausa di Lettura il blogtour di Uno sparo nel buio si conclude oggi su MilanoNera con l’intervista all’autore
Buongiorno Vincenzo, innanzitutto complimenti per il suo nuovo romanzo, Uno sparo nel buio. Struggente, accattivante e interessante. Da dove nasce l’idea, quando le si è accesa la fantomatica lampadina che l’ha spinta a iniziare questa avventura?
Grazie delle parole di apprezzamento. In realtà l’idea iniziale era quella di scrivere un romanzo di ambientazione sulla Roma del 1900, inteso proprio come anno solare. Io sono un giornalista, mi sono occupato molto di cronaca anche “nera” ma ho scritto soprattutto di sport. Avevo iniziato a cercare le storie personali dei nove ragazzi, atleti e universitari, che fondarono proprio all’inizio del nuovo secolo la Podistica Lazio, per farne un romanzo che intersecasse le loro vite e raccontasse insieme quella della giovane capitale dell’epoca. Ma scavando nella vicenda personale di uno di loro, Alberto Mesones, mi sono imbattuto in questa storia del fratello Ignacio che ha subito fatto scattare la mia curiosità “professionale”.
Uno sparo nel buio prende ispirazione da una storia realmente accaduta. Come ne è venuto a conoscenza? E quali ricerche ha effettuato per raccogliere le informazioni necessarie per il processo creativo?
Sul “caso Mesones” esiste un solo articolo sul web che ne riassume brevemente la vicenda. Ed è contenuto nel sito del Museo Criminologico di Roma. Sono partito da lì, proprio dalla visita al Museo, in una ricerca che mi ha riservato continui colpi di scena, mano a mano che scavavo su particolari solo in apparenza secondari. Ho passato diversi mesi tra l’Archivio di Stato dove ho scoperto essere consultabili gli atti completi (e i reperti, anche un po’ raccapriccianti) del processo, l’archivio dell’Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà, la Biblioteca Nazionale per tutti gli articoli pubblicati all’epoca dai quotidiani. Con una puntata perfino alla Biblioteca Vittorio Emanuele III° a Napoli dove è conservata una delle rarissime copie di un romanzo che parlò del “caso” proprio in contemporanea col processo. Non nego che la fase di ricerca è stata quella più eccitante. Ho ritrovato perfino le arringhe degli avvocati, tutti – nessuno escluso – autentici “principi del foro”.
Il romanzo è ambientato nell’Italia del primo dopoguerra, in un periodo di incertezze e tensione politica. La scelta di questo frangente è stata dettata o in qualche modo influenzata dall’attuale situazione mondiale? E se sì, in quale modo?
Sono un giornalista e non uno scrittore. Almeno io mi sento così. Ho trovato una storia inedita da raccontare e nella quale, secondo me, la realtà supera la fantasia. Intorno ho dovuto crearci, per non limitarmi a un resoconto sterile sia pure già avvincente, una vicenda parallela che la accompagnasse illustrandola e semplificandola. E non ho potuto che immergerla nell’Italia di allora, che – giusta osservazione, la sua – viveva una situazione politica di rilevanza epocale. Come del resto l’Europa da poco uscita dalla guerra e in cui iniziavano già a intravedersi i presupposti di un altro conflitto. Ma è stata la storia a ispirare il contesto e non viceversa.
Mi racconti la nascita di Ignacio Mesones: a tratti colpevole, a tratti innocente, un uomo misterioso la cui identità fa chiacchierare tutta Roma. Da dove nasce la personalità di quest’uomo, la sua caratterizzazione?
Come dicevo prima, la strada che ho scelto è stata quella di non cambiare di una virgola un solo fatto o una sola opinione della vicenda giudiziaria. Ho deciso di raccontare l’episodio di cronaca – delitto o suicidio che sia stato – attraverso atti ufficiali e non interpretazioni personali. I personaggi di fantasia servono appunto a chiarire cosa pensasse l’opinione pubblica e i dubbi e le perplessità che il processo fece venire a galla. Ignacio Mesones è stato un rampollo di famiglia facoltosa capace di eccessi inimmaginabili per l’epoca, secondo il nostro modo di vedere quegli anni lontani. In realtà l’abuso di alcol, la droga, il gioco d’azzardo, la promiscuità sessuale, il tradimento, lo spionaggio politico hanno accompagnato ogni epoca e cent’anni fa, questo mi è chiaro, al di là delle apparenze erano sotto gli occhi di tutti. Mesones non l’ho dovuto caratterizzare io. E’ stato lui a presentarsi così ai miei occhi di osservatore. Lo definirei un cinico che ha pagato con dignità il prezzo di troppe nefandezze. Che ha saputo accettare cioè il destino che da solo si era creato.
Quali sono i suoi progetti futuri? Scriverà ancora libri gialli?
Sono un appassionato di intrecci, non di delitti efferati. Fin da quando, lavorando in Cronaca di Roma, mi sono imbattuto in casi eclatanti, dalla tragica vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori al delitto di via Poma e ai tanti casi di cronaca nera rimasti avvolti in un alone di mistero, di non detto, di non certo. Avere fatto studi di legge mi ha aiutato a capire certi meccanismi di indagine e processuali. Diego e Caterina, i due personaggi principali del romanzo tra quelli di fantasia ovviamente, continueranno a indagare e a dipanare matasse in quegli anni ’20 del secolo scorso, attraversati da una grande smania di cambiamento. Lo stanno anzi già facendo sul mio computer. Ma la loro “longevità” letteraria la decideranno comunque e sempre i lettori.