I racconti del workshop NebbiaGialla: Simona Moschini

Continuiamo a pubblicare i racconti realizzati durante il workshop di Adele Marini alla quinta edizione del festival NebbiaGialla.

I racconti scritti partendo dai due incipit: La fuga e Giochi pericolosi, creati appositamente per il workshop che si è tenuto presso la biblioteca civica di Suzzara nell’ambito del 5° NebbiaGialla Noir Festival. I partecipanti li hanno elaborati in soli 45 minuti di tempo e l’ordine di pubblicazione dipende esclusivamente dalla data di arrivo dei testi alla nostra redazione e non da un giudizio di merito, essendo stati giudicati tutti di ottimo livello.

La fuga

Terminò di leggere l’articolo in preda a un’incontenibile agitazione. Chi se lo sarebbe potuto aspettare da una signora dall’aria così per bene? Bella, bionda, giovane, ricca… Un bel giorno aveva piantato casa e marito ed era sparita nel nulla.

Studiò la fotografia. “Non ci si può fidare delle impressioni”, pensò non senza una bella dose d’ironia. “Sicuro come l’oro che parenti, amici e vicini di casa saranno pronti a giurare davanti ai microfoni dei giornalisti che non era tipo da colpi di testa. Che era una persona tranquilla, tutta casa, marito e chiesa.”

Ma sapeva che le stesse persone, e su questo avrebbe scommesso qualsiasi cosa, mentre giuravano avrebbero pensato l’esatto contrario. “Oh sì che era il tipo, altroché! Con quella faccia da santarellina, questo e altro…”

Sorrise al pensiero. Sapeva che bastava tirare i fili giusti e alla fine il peggio delle persone viene alla luce.

Maddalena gettò a terra il quotidiano, ma subito dopo ci ripensò: prese le forbici in cucina e ritagliò con accuratezza l’articolo, piegandolo in due, poi in quattro e poi in otto.

Andò in camera da letto, chiuse la porta per non farsi sentire da Alberto che era sotto la doccia e digitò un numero sul telefonino. “Sono io.”

“Cosa vuoi, stavolta?”

“Incontrarti.”

“Ti ho già detto che non è una buona idea al momento.”

“E se io ne parlassi con tuo suocero?”

La voce lasciò passare mezzo minuto prima di rispondere. “Be’, allora ti direi che sei diventata molto più schizzata di come ti ricordavo.”

“Questo, più o meno, l’hai già detto l’ultima volta.”

“Allora”, si sentì una risatina nervosa e strozzata, “vuol dire che sei riuscita a stupirmi ancora di più.”

Quando Raffaele sbatté la portiera del Suv, per una frazione di secondo ebbe una paura senza nome e si rese conto che il parcheggio multipiano del centro commerciale, alle nove e mezza di quel lunedì sera, era del tutto vuoto.

Scese e pestò a terra i piedi: aveva un crampo al polpaccio destro. Fece squillare un numero memorizzato nel cellulare. Non rispose nessuno, e dopo venti squilli scattò la segreteria.

Buffo come, in quella storia, riuscissero a parlare una sola volta su dieci. Al telefono erano sempre stati costretti a mandarsi messaggi, anche quando erano seduti alla stessa tavolata. Quando si incontravano di persona, poi, il tempo era così scarso, la tensione nervosa così alta e la famelicità reciproca così smisurata, che finivano per non parlare affatto.

Sentì una vibrazione impazzita provenire dalla tasca dei pantaloni. Tirò di nuovo fuori il telefono, “Eccomi. Tu, dove sei?”

“Zona H, distributore di bevande fredde.”

“Aspettami lì.”

Marcel si stava inesorabilmente assopendo, davanti a una televendita di quadri in italiano. Non era abituato a guardare così tanta televisione. Non era abbastanza colto da saper distinguere un’opera d’arte da una crosta, e lo sapeva. Ma sapeva anche di non essere abbastanza snob da poter giudicare, sghignazzando come faceva lei, che quelle sollevate e rigirate e magnificate da ogni parte da un conduttore entusiasta, erano tutte ciofeche.

In quel preciso istante, per esempio, studiava perplesso un esemplare, forse di resina, rosa shocking, che poteva essere un grosso portacenere, ma anche un vaso per piante, o semplicemente una scultura postmoderna. Inutile, quando hai sempre fatto il tornitore, degli oggetti guardi la funzionalità; ti chiedi a cosa servono.

E lui, a cosa serviva?

Ultimamente se l’era chiesto spesso.

In apparenza la sua vita aveva subito un cambiamento in meglio, ma oggi lui aveva una brutta sensazione alla bocca dello stomaco, tanto da non aver nemmeno finito il piatto di couscous all’agnello, di cui anche Angelica si era servita una porzione abbondante, facendogli grandi complimenti prima di scappare via.

Gli nascondeva qualcosa, ne era certo ormai. Lei cancellava tutti i messaggi sul cellulare, Marcel lo sapeva, perché per ben tre volte aveva fatto la prova di nascosto: nulla.

Nessuno può essere così privo di storia.

“E’ perché l’altro l’ho perso subito prima di conoscerti, due settimane fa” aveva riso lei, la prima e ultima volta che gliel’aveva chiesto.

E i soldi, poi. Da dove venivano tutti quei soldi con cui Angelica pagava le loro cene in pizzeria, la benzina della sua Mercedes e del motorino di lui, l’affitto dell’appartamentino nel residence?

Non si intendeva abbastanza di parlate dialettali italiane infine, infine, ma lei non aveva lo stesso accento degli operai umbri che conosceva. Era completamente diverso, con le vocali più chiuse e una cadenza più strascicata, drammatica, meno esuberante. Da dove veniva?

Marcel spense la tv e si massaggiò lo stomaco in fiamme. Le mani gli tremavano.

“Che cosa hai fatto ai tuoi capelli neri… cristo.”

Lei si aggiustò il basco viola su un lato. “Non ti piacciono? Be’, l’importante è che piacciano a me.”

Raffaele le strinse il braccio destro, facendole cadere a terra la borsetta. “Voglio delle risposte, Maddalena. Non ho fatto quattrocento chilometri per farmi prendere per il culo.”

“Risposte. Mettiamola così: tu avrai qualche risposta e io riavrò la mia vita.”

“Solo quella?”

“Con il tuo aiuto, beninteso.”

“Sbrigati. Ho detto a mia moglie che andavo a una convention del mobile a Perugia ma che tornavo a dormire a casa.”

Maddalena sorrise dolcemente allungandogli un biglietto da visita e una grossa busta bianca. “Questo è il mio nuovo conto corrente. Svizzero e anonimo, sia ben chiaro. Voglio un bonifico di diecimila euro ogni tre mesi”, (Raffaele sussultò nella penombra), “in cambio non racconterò mai, né a tuo fratello, né a vostro padre, né a tua moglie di come tu mi abbia violentata e costretta a sottostare ai tuoi capricci negli ultimi due anni.”

“Violentata?” Raffaele scosse la testa incredulo. “Come puoi… Dio mio.” Strinse gli occhi per vederla meglio. Sentiva il suo profumo di caprifoglio. “Non ti rivedrò più, vero?”

“Ti resteranno dei bei ricordi, però. Tutte queste foto e relativi negativi.”

“E a te?”

“Ricordi tuoi? Direi proprio di no… Sei noioso tanto quanto tuo fratello Salvatore.”

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