“…con delle calibrate dosi di ironia, un ritmo ipnotico e un retrogusto pulp è davvero difficile resistere alla lettura compulsiva di Favola Splatter di Beppe Tosco”.
In principio c’è l’ispirazione, ma a chiarire dove e come è nata Favola Splatter ci pensa Beppe Tosco durante un incontro con i blogger.
“Una notte ho fatto un sogno. Ero andato da un produttore cinematografico per proporgli una sceneggiatura. Dopo averla letta, mi dice: è una figata, facciamo un film. Al risveglio però, non ricordavo nulla di quanto avevo scritto ma solo l’argomento mi era chiaro: la violenza della follia.”
La scelta di Milano non è casuale. “Qui si ammazzano perché sono fuori di testa. C’è chi esce con il piccone e si sfoga sui passanti per strada, il tassista che investe il cane e viene ammazzato dai padroni o chi sale sul mezzo pubblico senza biglietto Quello che dice non ho il biglietto ma ti taglio la manno con il Machetema ha un machete e taglia la mano al controllore. Sono cose normali?”
No, non lo sono. Più che in altre città, la violenza appare talvolta immotivata e non sempre riconducibile a questioni legate alla criminalità organizzata, i soldi, la droga o il potere. Un altro tipo di follia individuata dagli autori è quella degli studi televisivi che viene descritta molto bene nei primi capitoli.
Nella Milano del futuro al centro del romanzo, a scatenare l’ondata di violenza è la diffusione del contenuto di un silos ripieno di cocaina che droga l’intera città e scatena l’effetto studiato da Ernest-Charles Lasègue e Jean-Pierre Falret, quello della “follia collettiva per cui se uno e pazzo, e lo è anche il vicino e tutti gli altri presenti, uno normale inserito in quel gruppo, prima o poi, lo diventerà a sua volta.”
Il senso di Favola Splatter è riassunto da Beppe Tosco: “questo è un libro che non lascia speranze, non ce n’è, ma a differenza de La strada di Cormac McCarthy, dove oltre a non esserci speranza c’è anche cupezza e angoscia, qui c’è leggerezza e mediterraneità. Il tessuto urbano si sfalda, tutto si degrada e non ci sono vie di uscita e allora?”
Per costruzione e personaggi ricorda una favola. “È una fiaba naif in cui Vladi e Lola sono Hansel e Gretel, il cacciatore di Cappuccetto Rosso è il comandante Diego De Leo e tentano di sopravvivere agli orchi, ai lupi, alle streghe. Ho voluto raccontare un’ansia che provo e che stiamo vivendo. Abbiamo costruito un sistema di vita sbagliato e stiamo per pagarne le conseguenze.”
Alla domanda quanto siamo distanti dalla distopia descritta, Beppe sostiene che: “dobbiamo aspettare solo qualche anno, la cocaina non serve.”
Una delle molte parentesi divertenti riguarda la cocaina stipata nel silos. Lo spacciatore Gheorghe Pop l’ha ricavata raffinando i liquami della fogna.
Francesco assicura la fattibilità del processo. “Abbiamo verificato, è possibile ma molto dispendioso però, se proprio vuoi, riesci a farlo.” In merito all’idea innovativa della cocaina a chilometri zero, Beppe riporta lo stupore di un chimico che ha esclamato: “strano che non ci abbiano ancora pensato.”
In merito alla composizione a quattro mani, i due mettono in chiaro il metodo di lavoro. Francesco precisa che “le parole fisicamente le ha scritte tutte mio padre”, ma il genitore ne riconosce i meriti in fase di progettazione della trama. “Non sapevo come andare avanti, ne parlo con lui e mi trova una soluzione. Al quinto intervento inizio a rendermi conto che ha contribuito alla stesura così, con la massima onestà, capisco che se avessi un collaboratore che produce la soluzione ai problemi quando ne ho bisogno dovrei riconoscere il suo lavoro, così si è beccato il venti per cento e il nome in ditta” e aggiunge che la collaborazione è stata possibile perché “c’è qualche punto in comune, altrimenti non ci sarebbe sintonia.”
Lavoro congiunto che ha contribuito a cambiare soprattutto il punto di vista di Francesco, forte lettore e scrittore a sua volta che sostiene di essere: “cambiato moltissimo, per la prima volta mi sono messo seriamente a fare un lavoro su un libro, sulla struttura, a pensarci e dire ok, se una storia deve funzionare ci devono essere delle cose, degli elementi che non si possono sostituire con altri. Dal mio punto di vista, ho proprio capito cosa significa scrivere un romanzo.”
In merito all’identificazione tra autore e personaggi, Beppe riconosce che “c’è molto di me e di mio figlio nel personaggio di Vladi, ma mi sento più vicino a Lola. L’ho descritta come mia madre che aveva gli zigomi alti, il naso un po’ schiacciato, sembrava una pellerossa ed era molto decisa. Probabilmente Diego è il padre che vorrei essere.” Ha serie difficoltà nel riconoscersi negli psicopatici che affollano Favola Splatter.
In merito al Falco, l’inviato dal regno animale che osserva la città dall’alto, Beppe rivela di averlo ereditato dal periodo in cui scriveva testi radiofonici per Rai Stereo Due. “Facevo una sorta di parodia basata su un editore che pubblicava i libri venuti male. Raccontavo come un avvoltoio – non un falco – descrivesse dall’alto il cerchio di carovane che si faceva quando arrivano gli indiani. Vedeva questo cerchio formato e diceva: ecco, si sta formando la o, anzi la x, no l’otto. Non riuscendo a individuare la figura, scendeva giù e assisteva alla discussione di due personaggi impegnati a discutere sull’interpretazione delle indicazioni e l’incapacità di manovrare correttamente la carovana, mentre tutti i duemila pellerossa se ne stavano con le braccia incrociate ad aspettare. Quando ho pensato a come descrivere ciò che accadeva in città, ho scelto di mettere l’avvoltoio ma l’ho fatto diventare un falco.
In merito a un sequel di Favola Splatter gli autori hanno le idee chiare. “Se mai ci sarà un sequel, partirà con un capitolo in cui Giusy Ferreri legata su un camion è costretta a cantare delle canzoni proprie e anche di altri autori, ma sarà possibile solo se ci sarà qualche altro pensiero da raccontare, uno spunto forte alla base del racconto perché non abbiamo intenzione di fare una semplice operazione commerciale.”
Qui la nostra recensione a Favola splatter