Che gli psicofarmaci avessero degli strani effetti collaterali, si sa. Lo sa soprattutto Verino Lunari, che da quando ha cominciato ad assumerli a causa di alcuni attacchi di panico, sperimenta quasi ogni notte dei sogni talmente vividi da sembrare reali. Da qui l’idea: scrivere un “diario dei sogni” in cui raccontarli e cercare di spiegarli, più a se stesso che agli altri. Essendo i sogni proiezioni del proprio subconscio, infatti, Verino riconosce in essi alcuni temi ricorrenti della sua vita: la sua ex fidanzata di cui è ancora innamorato, il suo migliore amico di cui non si fida per niente, il suo senso di inadeguatezza causato dall’essere disoccupato, il sogno di fare lo scrittore. Ma sognare come lo fa Verino può essere molto pericoloso: quando i sogni sono così reali, il limite tra realtà e fantasia potrebbe essere molto sottile. Talmente sottile da perderlo di vista…
Questo secondo romanzo di Marco Candida, giovane scrittore piemontese, è sicuramente un’opera originale. A metà tra romanzo e vero e proprio diario, è scritto in modo che a volte non solo è difficile distinguere tra la realtà in cui vive il protagonista, Verino, e i suoi sogni, ma anche tra la realtà “fittizia” in cui si muovono i personaggi e la realtà “vera” in cui vive l’autore stesso (nei sogni Verino si chiama Marco!) cosicchè l’effetto è quello di un continuo salto fra i 3 livelli narrativi, in cui però non si corre mai il rischio di confondersi o di perdersi. Unici punti un po’ più pesanti da leggere: le “trascrizioni” dei sogni…una sorta di flusso di coscienza, completamente privo di punteggiatura, alla Joyce…ma di Joyce, si sa, ce n’è uno solo mica per niente…