Il costruttore di stelle – Lo spazio nero 2

Quando penso a “Lo spazio nero”, banalmente, penso al vuoto. Eppure il vuoto non esiste.
Non esiste, nello spazio, dal punto di vista fisico – c’è la “materia oscura” –; non esiste, nella letteratura, dal punto di vista della forma – ogni pagina scritta, in quanto tale, è non vuota -; non esiste, nella musica, dal punto di vista “non espressivo” – ogni pausa, fino all’eccesso dell’opera di John Cage, è densa di contenuti -; ecc.
Certo tutte le precedenti affermazioni sono controvertibili. Posso dire che il vuoto è il luogo della mancanza di spazio e quindi, in quanto tale, “è”. Posso ricorrere alle argomentazioni sofistiche e perdermi in domande retoriche che trascendano il significato del termine vuoto per giostrare sulle iperboli delle sue interpretazioni.
Eppure così come c’è un “c’è”, dovrebbe esserci anche un “non c’è”. Da qualche parte.

Abbiamo già piacevolmente discusso sul senso di porsi queste e altre domande in letteratura – perché questo è il nostro ambito – ma, dal mio modesto punto di vista, c’è un’ulteriore considerazione da fare: ogni domanda può essere utile ad aprire uno spiraglio alla comprensione. E i libri dal mio punto di vista, servono anche e soprattutto a “far riflettere”.
Così, anche, la pensava – e lui si che ci pensava – Olaf Stapleton quando, nel lontano 1937, scriveva il suo “The Starmaker”, in italiano tradotto con il titolo “Il costruttore di stelle”. È inutile che lo cerchiate in libreria: il volume è praticamente introvabile e chi ne ha una copia lo custodisce gelosamente. Nel libro che vi ho appena citato un uomo, un semplice uomo, comincia a esplorare la galassia venendo a contatto con forme di vita, di cultura e di pensiero che definire “aliene” è semplicemente riduttivo. Menti collettive, esseri di pura energia, strutture geometriche pensanti e molto, molto altro ancora riempiono il vuoto dello spazio profondo per riuscire a colmare “Lo spazio nero” che è dentro il protagonista.
Che ci riescano o meno, o cosa succeda all’uomo qualunque, non è importante. Quella che Stapleton ci ha lasciato, però, è una pietra miliare della letteratura di genere e transgenere. E forse, questo è uno dei motivi per i quali non viene più ristampata.
E per voi, sempre che vi vada di dire la vostra, quali sono le pietre miliari di un ipotetico – ma concreto – “Lo spazio nero”?

Fabio Fracas

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