I morti viventi hanno popolato il grande schermo sin dagli inizi. Ripercorriamo insieme l’appassionante e spaventosa storia degli zombi al cinema.
Decisamente trascurati in letteratura, specialmente in confronto ad altre creature del soprannaturale come i vampiri o i licantropi, i nostri putrescenti amici zombi sembrano essere strettamente legati alla visualità e all’esperienza sensoriale di gruppo: in altre parole, al cinema. Elencare le centinaia di titoli sull’argomento non avrebbe alcun senso né sarebbe possibile: ci limiteremo quindi a segnalarvi i film più importanti per una ragione o per l’altra, senza alcuna pretesa di fornirvi una guida esaustiva, per la quale vi rimandiamo ai numerosi libri usciti sull’argomento.
La prima opera che possiamo definire strettamente uno ‘zombie-movie’ è “L’isola degli zombies” di Victor Halperin (1932), interpretata dall’allora astro nascente del cinema horror Bela Lugosi, qui nei panni di uno schiavista sui generis, che in un’isola delle Indie Occidentali sfrutta il lavoro di un gruppo di zombi per portare avanti la sua industria. Atmosfere tra l’esotismo e Fritz Lang per un film ancora legato alla concezione ‘haitiana’ di zombi (come tanti altri che seguiranno, tra i quali menzione d’onore per “Ho camminato con uno zombie” (1943) del grande Jacques Tourneur e “Il serpente e l’arcobaleno” (1988) di Wes Craven).
Lo zombi della tradizione voodoo è profondamente diverso dal cadavere cannibale che siamo abituati a vedere da Romero in poi: gli zombi ‘classici’ sono creati da uno stregone (bokor) tramite magia nera o con l’ausilio di potentissime droghe che inducono una morte apparente. Il bokor riesuma la sua vittima dopo un giorno o due e gli somministra un allucinogeno che la ‘resuscita’. Lo zombi non ha né forza di volontà né memoria né uso della parola e viene usato dal bokor come schiavo per i lavori più umili. Un mito (anche se non pochi sostengono abbia basi reali) che è metafora evidente della condizione umana, e che si è spesso colorato di temi sociali.
Nel 1968 tutto questo cambia (e viene sostanzialmente spazzato via nella percezione del pubblico cinematografico) con l’uscita de “La notte dei morti viventi” di George Romero. Girato con apparecchiature rudimentali e un budget ridottissimo in un bianco e nero che fa gelare il sangue nelle vene, è il film che getta le basi di una nuova iconografia dello zombi, mai più messa in discussione e ripresa da centinaia di autori sostanzialmente senza differenze: un morto in putrefazione che assale i vivi per cibarsi di carne umana e capace di diffondere il ‘contagio’.
Le deviazioni da questo modello sono rare e poco fortunate, anche se non possiamo non ricordare il famigerato “Piano 9 da un altro spazio” (1959) di Ed Wood, nel quale improbabili alieni usano come arma durante l’invasione della Terra un esercito di morti resuscitati grazie a misteriosi raggi, e l’onirico “Carnival of Souls” (1962) di Herk Harvey, che con uno straniante (e seminale?) bianco e nero descrive un luna park gestito da morti viventi. Gli anni ’70 inaugurano la ‘via europea’ al cinema degli zombi con la quadrilogia di Armando De Ossorio sui templari tornati dalla tomba, inaugurata dal bellissimo “La cavalcata dei resuscitati ciechi” (1973), e soprattutto con “Non si deve profanare il sonno dei morti” (1974) di Jorge Grau, che per primo introduce nel genere la tematica ecologista, in seguito destinata ad assumere una importanza essenziale.
Nonostante “La notte dei morti viventi” sia unanimemente considerato uno dei film più importanti della storia del cinema (non solo di genere, ma tout court), il boom commerciale mondiale per gli zombie-movies arriva con un altro capolavoro di Romero, il sequel “Dawn of the dead” (1978), genialmente ribattezzato “Zombi” dal co-produttore e curatore dell’edizione europea del film, Dario Argento (ad esso seguì l’ennesima ‘parabola’ romeriana “Il giorno degli zombi”, che chiuse quella che all’epoca sembrava dovesse limitarsi ad essere una trilogia).
Tra i tanti meriti di “Zombi” quello di aver originato uno dei più interessanti filoni di B-movies ‘di genere’ italiani. Si parte dal mitico “Zombi 2” (1979) di Lucio Fulci, girato tra Sabaudia, Santo Domingo e New York, di gran lunga il miglior prodotto del gruppo, e si va avanti con titoli come “Le notti erotiche dei morti viventi”, “Virus”, “Zombi 3”, “Zombi Holocaust”, fino a tracimare nel porno (come dimenticare le performance sessuali di Marina Lotar truccata da morta vivente in “Orgasmo esotico” (1982) di Mario Siciliano?).
Più ‘tardi’, ma comunque degni di nota, “Zeder” (1982) di Pupi Avati, che coniuga in modo originalissimo esoterismo, mad science e tradizioni etrusche con la vulgata ‘zombica’, e “Dellamorte Dellamore” (1994) di Michele Soavi, sospeso tra glamour, fumetto e videogame sparatutto. Oltreoceano, tra la miriade di produzioni sul tema (supportate anche dall’evoluzione incredibile degli effetti speciali, digitali e non) sarebbe un delitto non segnalare Dan O’Bannon e la sua saga de “Il ritorno dei morti viventi” (1985), probabilmente primo esempio di zombie-movie intriso del tipico approccio umoristico dell’horror anni ’80.
E il presente? Il film di riferimento è “L’alba dei morti viventi” (2004) di Zack Snyder, accompagnato da poco simpatiche questioni legali ma efficace rilettura ‘ipercinetica’ del mito, mentre il ritorno in grande stile di George Romero (“La terra dei morti viventi” del 2005, con Asia Argento tra gli interpreti!!) – capitolo conclusivo della quadrilogia iniziata nel 1968 – è uno dei film più ‘politici’ della storia del cinema, nel quale i morti viventi diventano il proletariato del Medioevo prossimo venturo. Zombi di tutto il mondo, unitevi…