Si chiama Gosa, è di peluche ed è testimone e arma del delitto dell’omicidio della sua proprietaria Ginger. Gosa è un orsetto dal pelo morbido e un pò consunto, non può parlare ma sa chi lo ha preso e usato per soffocare la sua Ginger, vecchia prostituta milanese che abitava in via Padova. Con Gosa, protagonista di “Muto come un orsetto” (Fratelli Frilli Editori), lo scrittore Helfrid P. Wetwood dà voce a chi non può parlare a chi, come un orsetto che dalla comodità di un appartamento viene catapultato per strada e vive la Milano dei bassifondi ma anche quella degli studi di uno psicologo o dell’officina di un meccanico. Gosa vero protagonista di una storia noir vive la strada e da lì racconta una città con le sue contraddizioni, le sue brutture ed i suoi pericoli.
Helfrid, il tuo Gosa si ritrova più volte per strada ed è dalla strada che provengono le vere storie noir. È via Padova la protagonista del tuo romanzo?
La storia inizia in via Padova ma poi prosegue per la città. La protagonista è quell’insulto di cemento che prende il nome di Milano. Quella Milano da bere di cui non è rimasta neanche una goccia e che si sta rifacendo il trucco per l’imminente vetrina dell’expo. Il protagonista è l’orsetto ma diventeranno a loro volta e a loro modo protagonisti tutti i personaggi che incroceranno la strada del nostro peluche pensatore. Sì perché Gosa è un morbido orsacchiotto, un giocattolo, un oggetto che per molti anni è rimasto ad osservare e ad ascoltare lo scorrere della vita della sua padrona, una prostituta di nome Ginger. Lui non si muove e non parla ma pensa, pensa per tutta la durata del libro. Non ha un cuore ed è inanimato ma allo stesso tempo ha una grande anima e soprattutto è l’unico testimone oculare dell’uccisione di Ginger di cui lui stesso è l’arma del delitto.
Gosa ha gli occhi sbarrati e non può parlare. L’orsetto simboleggia i tanti testimoni di un crimine che per paura, codardia o indifferenza stanno zitti?
Gosa è lo spettatore di una relatà che è sotto gli occhi di tutti, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. L’intento era quello di far venire fuori da queste pagine ciò che gli occhi di un oggetto inanimato di peluche riescono a vedere che è spesso quello che i protagonisti in carne ed ossa non vedono più o forse non hanno mai visto. C’è una frase emblematica tratta dal Diario di Ginger che dice: “Rabbia, gioia, paura, sorpresa, tristezza, odio, allegria, amore, gelosia, vergogna, nostalgia, rimorso, perdono. Emozioni: l’universo me le ha date ed io le ho usate tutte!”.
Di solito è accostato al mondo dell’infanzia, invece nel tuo noir l’orsetto non solo è spettatore di un delitto ma ne è anche l’arma. Perché hai scelto la tenerezza di un Teddy Bear per il tuo personaggio?
Gli esseri umani sono bravi a trasformare in arma ogni cosa. Seppur non voluto ma del tutto casuale, l’aver scelto un orsetto fa sì che si cerchi e si indaghi sui perché della mia scelta. In realtà però ho solo dato il via alla mia fantasia e mi sono immaginato quali regali una prostituta collezioni nell’arco della sua attività. Scatole di cioccolatini, rose e fiori di ogni genere, ninnoli e bigiotteria a buon mercato oltre che a tutta una serie di insulti, talvolta botte. Ma tra tutti l’oggetto che poteva “stonare” creando tenerezza, curiosità e simpatia empatica era proprio un orsetto giocattolo di quelli che si regalano alle fidanzatine o ai bimbi.
Ginger e Carla. Le uniche donne con cui Gosa ha a che fare,due donne diverse,una prostituta e l’altra donna delle pulizie e casalinga,eppure entrambe sole…
Non è facile nascer donna. A volte ho l’impressione che la società sia disegnata principalmente per gli uomini. Ma credo anche di aver dipinto un aspetto di questa società che vede molti dei suoi protagonisti mischiarsi con tante persone ma rimanendo sempre molto distanti e solitari. Ognuno pensa a sé e tutti sono trasportati come un orsetto di peluche in un viaggio che sembra apparentemente non avere uno scopo preciso. La solitudine è un elemento con cui si fa presto a convivere ma non ci si fa mai completamente l’abitudine.