Al Noir In Festival abbiamo avuto la gradita opportunità di incontrare Piernicola Silvis, invitato a presentare il suo recente thriller Gli Illegali, Sem Editore
Ciao Piernicola,
vorrei partire proprio dall’inizio, dalla dedica a Alan D. Altieri..
Sergio era un uomo buono, prodigo di consigli. Eravamo amici e, pensa, devo proprio a lui se ora pubblico con Sem. Aveva letto Formicae, gli era piaciuto e mi aveva consigliato di mandarlo a Riccardo Cavallero ,che stava aprendo una nuova casa editrice. Così ho fatto e quando chiesi a Sergio quanto ci sarebbe voluto per una risposta, mi disse: “ Un po’…”.E invece dopo solo una settimana ricevetti una telefonata dall’editore. Il libro era piaciuto. E pensare che Cavallero si era ripromesso di non acquistare libri con serial killer di bambini e pedofili. E invece…Formicae è stato il primo libro pubblicato dalla neonata Sem.
Dopo Formicae e la Lupa, ambientati a Foggia, con gli Illegali ti sei spostato a Napoli, come mai?
Foggia è una città della cui criminalità si parla pochissimo e quindi pensavo fosse giusto farlo, ma per Gli illegali mi serviva una grande città internazionale. Ho scelto Napoli come omaggio a mia moglie che ci ha studiato e la ama molto. La storia del libro, comunque,avrebbe potuto essere ambientata ovunque.
La Napoli che fa da sfondo al libro è una città molto dark, notturna e serale, diversa dalle solite immagini, ma non potevo togliere tutti i cliché, perché sono reali e danno il carattere della città.
In più Bruni fa parte dello SCO che è un servizio nazionale che opera su tutto il territorio.Non poteva rimanere confinato a Foggia.
L’Italia poi è ricca di città che offrono spunti meravigliosi per le storie: Firenze e l’arte, Milano e la finanza, Torino e l’esoterismo. Il prossimo libro sarà ambientato a Roma e presenterò una diversa realtà investigativa.
Quanto il tuo lavoro influenza i tuoi scritti?
La fiction si basa sempre sulla realtà. Cambio i nomi, ma mi ispiro a crimini reali.
C’è un caso su cui hai indagato che non ha trovato una soluzione giuridica a cui vorresti dare almeno una soluzione letteraria?
C’è un caso che è rimasto irrisolto di cui io credo di conoscere colpevole e movente, ma non lo racconterò mai.
Gli Illegali è un thriller particolare, il colpevole si conosce nelle primissime pagine e il resto è un viaggio nelle menti e nelle motivazioni dei personaggi. Ha anche un che di machiavellico: il fine giustifica i mezzi? Come si entra nelle mente dei colpevoli?
Sì, è un po’ machiavellico in effetti. Per quanto riguarda il lato psicologico, io sono molto empatico. Ho lavorato molto sui personaggi de Gli Illegali,volevo che il lettore fosse portato a riflettere e infatti il libro ha un ritmo diverso dai precedenti.
Ho tratteggiato un avvocato molto cinico con una grande dramma personale. Ma era già cinico o lo è diventato? Lascio al lettore la possibilità di scegliere. E fino alla fine non ho svelato tutti i dettagli del motivo che lo spinge a fare quello che fa…
L’essere empatico ti ha mai causato dei problemi quando eri in polizia?
No, mai. Si impara a tenere il giusto distacco, come i medici.
Caratteristica dei tuoi libri è che sono thriller in cui la violenza non è mai esibita o raccontata nei dettagli.
Sì, non mostro mai sangue o violenza pura. Non sconfino nello splatter. Quello che colpisce davvero nei casi di omicidio non è il sangue, ma la freddezza dell’esecuzione. So per esperienza che la vera violenza si esprime in brevi istanti. Quello che è impressionante, e che ho spesso visto nella mia carriera, è la velocità, i pochi attimi che servono per uccidere una persona. È destabilizzante vedere con che rapidità una vita può essere soppressa.
Da poliziotto, esperto di procedure, quanti errori trovi nei libri dei tuoi colleghi scrittori?
(ride, ndr).
Guarda, ti dico solo questo: non hanno idea del fuoco di fila di telefonate che comporta un’indagine. Nei libri, quasi tutti gli ispettori, investigatori etc, sono sempre tranquilli, invece nella realtà siamo costantemente attaccati al telefono, subissati di chiamate.
C’è un film, Zodiac, che rappresenta questa situazione in modo molto realistico.
Nel libro si parla molto anche del rapporto con la stampa, fanno sorridere certe invenzioni..
I giornali hanno notizie dalle conferenze stampa e quando non le hanno riempiono i”buchi” con cose infondate. Ricordo una volta che eravamo in silenzio stampa riguardo a un caso e sui giornali leggevamo cose assurde, tipo il coinvolgimento del Mossad…
Che ruolo ha la paura nel tuo lavoro?
Ricordo l’arresto di Piddu Madonia, il numero due di Cosa Nostra. Con gli attentati a Falcone e Borsellino avevamo capito l’enorme potenza di fuoco che potevano mostrare. Ma quando sono sceso dalla macchina con la pistola in mano, mi è calato un velo di gelo, di freddezza. Non bisogna mai essere troppo sicuri, però. Se si eccede, anche in sicurezza, si sbaglia sempre. E ricorda: fare il poliziotto è un lavoro, non una missione.
Poi la sera andammo tutti in pizzeria, si rideva e si raccontavano barzellette. Serve a stemperare la tensione.
Nel libro a un certo punto si fa cenno all’interpretazione dei segni del corpo per individuare la menzogna, vengono veramente applicati questi metodi?
Sì, ricordo un caso in particolare in cui il sospettato continuava a negare ma, ogni volta che gli ponevo la domanda sull’omicidio, il corpo ,i gesti lo sguardo indicavano che stava mentendo. Avevo ragione, con uno stratagemma sono poi riuscito a farlo confessare.
Hai la possibilità di mettere la tua firma a un libro, quale scegli?
Dossier Odessa, di Frederick Forsyth
Che oggetto ti rappresenta?
Una penna. Sono un collezionista
MilanoNera ringrazia Piernicola Silvis, la SEM e l’organizzazione del Noir In Festival per la disponibilità