Nuova stagione per Luigi Alfredo Ricciardi. Nel romanzo Il giorno dei morti (Fandango pag. 396, euro 15,00) é arrivato l’autunno a completare la quadrilogia che lo scrittore Maurizio de Giovanni dedica al commissario della Regia Questura di Napoli.
De Giovanni, napoletano doc, e autore anche di testi di teatro, é stato finalista al premio Scerbanenco 2009 col romanzo Il posto di ognuno della serie di Ricciardi ed é tradotto in Francia e Germania.
Ne Il giorno dei morti, alla fine di ottobre del 1931 e all’alba di una mattina piovosa e fredda, é rinvenuto il cadavere di un bambino. Seduto sulla panca di pietra dello scalone monumentale di Capodimonte, il corpicino, fradicio di pioggia, é vegliato da un cane. Ricciardi fissa la piccola vittima, incontra lo sguardo del cane “che lo obbligava a non fermarsi” e decide di indagare su quella morte e di richiedere l’autopsia di Matteo, l’orfanello balbuziente conosciuto come Tetté.
A spingere Ricciardi a non classificare la morte come una delle tante avvenute per stenti, per fame o per abbandono, é il cane, un bastardino dal manto bianco chiazzato di marrone, che diventa “il committente della sua indagine”.
Com’è nato il personaggio del cane?
La mia compagna di vita e di lavoro, che partecipa alla scrittura con un’importanza enorme, Paola, ha fortemente voluto che in questo romanzo ci fosse un cane che somigliasse al nostro e come il nostro fosse un’anima presente e costante, consapevole e discreto di quello che attorno a lui si svolge. Credo di aver reso attraverso il cane un punto d’osservazione della vicenda particolare e unico, necessario alla comprensione degli eventi.
É un autunno piovoso e comincia il primo freddo che cambia “il sapore della pioggia che prima sapeva un pò di mare e adesso sa di ghiaccio”.
Col “freddo i delitti vanno in letargo”?
E’ una vana speranza di Maione e di Ricciardi: in realtà le passioni cambiano, si rimodulano ma non spariscono. E siccome sono le passioni le genitrici dei delitti, anche il freddo ha in sé le motivazioni di nuovi orrori.
La settimana che precede la commemorazione dei defunti impegna a tempo pieno Ricciardi nell’indagine sulla morte di Tetté mentre Napoli è in subbuglio per l’imminente visita di Mussolini. In subbuglio sono anche Enrica, la vicina di casa del commissario e Livia, la vedova del tenore Vezzi. Sono entrambe innamorate di Ricciardi ed insieme all’anziana tata Rosa sono le donne della sua vita.
In questo romanzo le donne passano all’azione in modo più diretto e incisivo?
Non bisogna dimenticare che il tempo soggettivo dei personaggi nei quattro romanzi copre un arco di sette mesi o poco più. Le vicende, rallentate dalle convenzioni sociali fortissime di quegli anni, evolvono molto lentamente dal nostro punto di vista. Più che passare all’azione, ritengo che alcuni nodi siano finalmente arrivati al pettine; e che le donne, come al solito, siano le prime a capirlo.
Ricciardi sembra cedere ai sentimenti anche se a frenarlo é la sua condizione di “diverso”; si sente destinato a convivere col dolore altrui a causa del suo dono, il “Fatto”, la sua capacità di sentire il dolore e vedere la sua fonte dopo una morte violenta.
Il “maledetto fatto”, da sempre una condanna per Ricciardi, ne Il giorno dei morti diventa però la sua persecuzione perchè non si palesa subito, é così?
E’ così. Ricciardi suo malgrado si ritrova a inseguire il fantasma del bambino, che avrebbe dovuto vedere ma non vede. Il suo sacrificio è enorme, perché ogni volta sente il dolore altrui come fosse suo, diventa un suo dolore personale; se poi si tratta di un bambino, come in questo caso, è anche peggio perché Ricciardi nutre nei confronti dell’infanzia una sensibilità speciale, come dimostrato sia nel primo che nel terzo romanzo in cui la preoccupazione per i bambini l’aveva portato addirittura a reinterpretare la giustizia alla luce di personalissime valutazioni. La ricerca volontaria del “Fatto” è la caratteristica più nuova e inaspettata di questo romanzo, per me.
La settimana d’indagine s’interseca con l’ultima settimana di vita di Tettè. Ricciardi aiutato dal brigadiere Maione e sotto una pioggia battente si ritrova a camminare per le stradine percorse dal bambino quando lasciava il suo alloggio presso la chiesa di Santa Maria del Soccorso.
Il brigadiere Maione è un personaggio che fa da collante, é indispensabile professionalmente e umanamente per Ricciardi e forte è il suo legame con Napoli. É il personaggio più napoletano?
Mi piace pensare che Napoli sia in tutti i personaggi, che ognuno di loro testimoni una pluralità e un’ originalità di un luogo che è mille luoghi contemporaneamente. Maione, essendo un estroverso e un passionale, è sicuramente più evidente nelle manifestazioni emotive e affettive di altri e quindi le sue caratteristiche sono maggiormente riconoscibili. Ma Napoli, ripeto, è un po’ in ognuno dei personaggi delle storie che racconto, anche in quelli minori, anche in quelli che si muovono sullo sfondo.
La visita di Mussolini, con tutti i preparativi e divieti del caso, fa da sfondo alla storia e il personaggio del vicequestore Angelo Garzo é in apprensione per la visita e teme le incursioni di Ricciardi che rappresenta il suo opposto.
Per il vicequestore Angelo Garzo, Ricciardi è incontrollabile, sfuggente, incomprensibile. Pur rispettando il suo commissario dagli inquietanti occhi verdi, in un certo senso Garzo lo teme?
Si ha sempre paura di ciò che non si capisce. Garzo non riconosce in Ricciardi i motori che è abituato a vedere in se stesso e negli altri, l’ambizione, la carriera, il godersi la propria ricchezza, l’inserimento in certi esclusivi ambienti. Ricciardi è il suo opposto, sente oscuramente l’intelligenza e le capacità del commissario e molto gli sfugge. Se ne libererebbe volentieri, se non fosse così strumentale alla sua stessa ambizione.
Ricciardi va testardamente fino in fondo sfidando i divieti e le direttive del suo superiore e scopre la verità in un modo del tutto inaspettato che lascia il lettore col fiato sospeso.
I lettori si sono ormai affezionati a Ricciardi e al suo mondo e le sue storie hanno anche ispirato il maestro napoletano Claudio Cuomo che ha realizzato alcuni personaggi in cartapesta.
Vedremo Ricciardi anche protagonista di una serie tv?
Sono consapevole e felice della crescente attenzione del pubblico nei riguardi delle storie che ho scritto; da tempo la Fandango ha allo studio un progetto di fiction per la quale sono stati anche identificati regista e attore principale, ma l’entità dei costi (si tratta di un’opera in costume, per la quale deve essere reperita un’ambientazione delocalizzata per la plausibilità dell’architettura) costringe a tempi non brevi. Nel frattempo mi godo il successo dei libri, che più mi riguardano direttamente, e l’essere l’unico proprietario di personaggi che dovranno essere condivisi con altri creativi.