Maristella Lippolis vive a Pescara dove lavora presso la sede della Provincia, si occupa di politica del lavoro e è consigliera di parità per la discriminazione delle donne nel mondo del lavoro. In passato è stata ghost-writer per il presidente della Provincia, scrivendo anche il discorso di benvenuto a Azeglio Ciampi.
La sua scrittura è mediazione con la realtà. Nei suoi libri ricorrono storie di donne, ama scriverle perché è un argomento che conosce bene, se si scrive ciò di cui si sa si è più autentici.
La Lippolis è anche appassionata di cucina che ritiene molto importante perché è vita e relazione con gli altri.
Adele né bella né brutta, edito da Piemme, con cui è finalista al Premio Stresa di Narrativa , è una storia non suggerita da esperienze reali, l’autrice aveva in mente figure femminili legate al tema della fuga e della sparizione, il chiudere la porta di casa tagliando i ponti con il passato.
Partendo da questi due punti è stata costruita la storia intorno. Il nome della protagonista Adele è stato scelto perché è un nome antico che presuppone delle radici.
Adele è una donna di quarantasei anni che vive in una città di provincia del centro Italia sposata a Antonio, con il quale ha ben poco in comune, e che si lascia vivere con atteggiamento rinunciatario per dimenticare un grave trauma che ha segnato la sua gioventù. Appassionata di cucina, sognava di diventare una grande cuoca, ma ciò non è conciliabile con i suoi impegni di moglie.
Il ritrovamento di un paio di mutande del marito sporche di rossetto color lampone le fa mettere in discussione il suo modo di vivere e piano piano le fa maturare il desiderio di cambiare vita. L’inaspettato aiuto di Irina, la cognata russa piena di risorse e della zia Clelia, proprietaria di un ristorante le permettono finalmente di diventare protagonista della propria vita, non prima di aver dato una lezione memorabile al marito Antonio che, senza aver la minima esperienza in merito, decide di fondare un partito razzista e di candidarsi alle elezioni.
Il suo libro lancia un messaggio di speranza alle donne, “se vuoi ce la puoi fare” lavorando su sé stesse. E’ stato così anche per lei?
Si, ho sempre lavorato su me stessa, non mi sono mai sottratta, questo tipo di lavoro mi ha accompagnata da sempre. Sono cresciuta, sono cambiata ma ho cercato di rimanere sempre al centro di me stessa, per usare le parole di Grazia Livi. Non perdersi di vista significa regnare sempre dentro sé stessi e e crescerci. Ho fatto molte scelte nella mia vita rimanendo radicata in me stessa.
Leggendo la sua biografia si notano alcune similitudini con Adele (l’aver fondato un’associazione che si chiama “Centro di cultura delle donne Margaret Fuller, la passione per la cucina), c’è veramente qualcosa di autobiografico nel personaggio?
Questi particolari fanno parte della mia storia personale, c’è anche il cercare di vivere radicata in me stessa, per Adele è un percorso, io ho cercato di viverci da sempre.
Gli uomini di Adele né bella né brutta sono personaggi molto negativi, c’è qualche ragione particolare per averli descritti così?
No, penso che negli uomini ci sia un pochino di questa negatività concentrata in Antonio. Come c’è un po’ di Antonio negli uomini, c’è un po’ di Adele nelle donne. Il fatto che alle mie presentazioni ci siano molti uomini è positivo, significa che si interrogano su sé stessi.
Ad Antonio ho voluto attribuire una mentalità razzista in generale, senza alcun riferimento a partiti politici esistenti. Ho invece voluto sottolineare la presunzione che dilaga in Italia in campo politico, che chiunque possa svegliarsi un mattino e improvvisarsi leader di un partito.
Irina e Clelia sono persone che lei conosce?
No, sono personaggi di fantasia. Irina è ispirata a figure femminili che si incontrano nelle nostre città. Ho anche conosciuto ballerine di lap-dance.
Lei organizza laboratori di scrittura autobiografica e di storia orale. Vuole raccontarci in cosa consistono?
Questi laboratori sono nati da un progetto per la Regione Campania per l’educazione degli adulti che contemplava il recupero delle proprie origini tramite la memoria delle tradizioni e la scrittura autobiografica. Questo progetto aveva coinvolto diversi adulti anche di una certa età che ricostruendo la propria storia avevano ricostruito la storia recente della città di Salerno. Ho riproposto il modello in altri luoghi e ha funzionato.
Che cosa pensa dei premi letterari, avere vinto il Premio Chiara nel 1999 è stato molto importante per la sua carriera di scrittrice?
I premi letterari non sono tutti uguali, sono un modo per entrare nell’attenzione del pubblico come le recensioni e le interviste, niente è indispensabile ma tutto è utile.
Aver vinto il Premio Chiara è stato importante perché mi ha fatto uscire dall’anonimato di provincia e mi ha fatto conoscere la Piemme con cui ho pubblicato successivamente.
Dedica molto tempo alla scrittura e usa un metodo particolare?
Dedico abbastanza tempo, quando sono nella fase di scrittura vera e propria cerco di scrivere tutti i giorni concentrando nei fine settimana. Sono costante e perseverante, ho un quaderno di scrittura dove prendo appunti nella fase iniziale, poi scrivo, correggo e rileggo.
Quali sono le sue maggiori qualità?
L’ironia è una cifra che mi definisce anche nella vita. Nella scrittura è il tono di voce che prediligo anche quando si tratta di affrontare tematiche importanti come in Adele. L’ironia fa vedere le cose con più distacco.
C’è stato qualcuno o qualcosa determinante per aiutarla a pubblicare i suoi libri?
A pubblicare no, ma a convincermi che questa è la strada che dovevo seguire è stata la scrittrice Grazia Livi, la prima persone che ha letto le mie cose e mi ha incoraggiata a continuare. Anche Maria Grazia Cutrufelli è stata importante per me.