MilanoNera intervista Marco Vichi, scrittore vincitore del premio Scerbanenco e finalista al premio Camaiore
Cominciamo con “Morte a Firenze”, il romanzo con protagonista Bordelli ambientato nel novembre 1996, periodo dell’alluvione in città. Avevi otto-nove anni, giusto? Che ricordi hai dell’alluvione?
Ricordo assai bene quei momenti. Per il ponte dei morti eravamo andati nella casa di campagna. Nel pomeriggio del 3 novembre cominciò a venire giù una muraglia d’acqua spaventosa, e non accennava a smettere. Poi saltò la centrale elettrica e restammo al buio, e mia mamma accese delle candele e si mise a pregare. Quando mio padre tornò a casa ci raccontò che attraversando un ponte con il suo Maggiolino aveva visto L’Arno che ormai usciva dalle spallette. Giorni dopo vedemmo alla TV il documentario con Richard Burton, e fu impressionante vedere cosa era accaduto a dieci chilometri da dove eravamo. Quando poi tornammo a Firenze, attraversammo una città devastata, con enormi cumuli di detriti davanti ai negozi, saracinesche e portoni sfondati, alberi sradicati, macchine capovolte o impilate come libri, e soprattutto facce segnate dall’incredulità, lacrime silenziose, tristezza infinita.
Perché hai voluto ambientare questa storia così “difficile” (si parla della scomparsa e morte di un ragazzino di 13 anni) proprio in quel periodo?
Be’, le storie di Bordelli sono degli anni ’60. I primi tre romanzi erano ambientati nel ’63, nel ’64 e nel ’65… Mi toccava il ’66, ovviamente con l’alluvione. E così la storia è finita in quel periodo, e mi pare che una vicenda così sordida stia bene insieme al fango dell’alluvione.
“Morte a Firenze” ti ha dato delle belle soddisfazioni, sia come vendite che come critica. Ricordo il Premio Scerbanenco 2009, poi finalista al Premio Camaiore e al premio Azzeccagarbugli. Che rapporto hai con Bordelli, questo personaggio, giunto se non sbaglio al quarto romanzo come protagonista (più alcuni racconti)?
Mi sta molto simpatico, e non solo perché le sue storie vendono bene e vincono premi. Per me ormai Bordelli esiste davvero, ma in effetti mi succede con tutti i personaggi che racconto: una volta conosciuti, mi restano nella memoria come se li avessi conosciuti in carne e ossa. E mi succede lo stesso quando leggo un bel romanzo.
“Racconta il Male dell’uomo senza mai voltare la testa e anzi guardandolo fisso negli occhi.” Me lo dicesti tu parlando de “La pelle” di Malaparte. Anche tu vuoi raccontare il Male? Oppure che altro?
Penso che raccontare il male sia molto nelle mie corde, e mi capita la stessa cosa da lettore. Non parlo del male gratuito o spettacolare, ma del male vero, quotidiano, profondo, quello che ammorba la vita. Forse è una questione di esorcismo, forse è un modo per conoscere meglio quello che fa più paura, come affacciarsi sul ciglio di un baratro quando si hanno le vertigini. L’uomo non è fatto per viver come un bruto, e il suo destino è “conoscere”… e nella canoscenza c’è anche e soprattutto il male: ciò che si conosce, appunto, fa meno paura dell’inconosciuto. Leggere il Male, cioè sperimentarlo dentro di noi, ci prepara alla vita e ci fa essere più pronti e meno vulnerabili nelle occasioni in cui lo troveremo sulla nostra strada.
Parliamo adesso di “Un tipo tranquillo”, il tuo ultimo romanzo. Non è la prima volta che racconti del confine tra normalità e paranoia, della banalità e assurdità da cui può originare il male. Ricordo “L’inquilino”, ad esempio. Spiegaci cosa ti attrae o affascina riguardo a questi temi.
Non so, ognuno ha le sue ossessioni. Non conosco tutti i motivi delle mie “attrazioni”, così come non riuscirei a spiegare perché sono innamorato di una donna. In certe cose è impossibile trovare spiegazioni, e se se ne trovano significa che non sono vere.
Racconti spesso, senza problemi, che ci sono voluti vent’anni per vedere una tua storia pubblicata. Ricordi qualche episodio di rifiuto divertente, qualcosa che ti scrisse o disse qualche editore? E poi come andò quando ti accettarono la prima pubblicazione?
Ho una cartellina piena di lettere di rifiuto, sia di piccoli editori che di grandi (tipo Einaudi). Ricordo che un editor a cui avevo mandato sei o sette racconti, mi rispose stizzito che quei racconti erano tutti molto diversi tra di loro, e questo significava che ero molto immaturo e che non avevo trovato la mia strada (il sottotesto che emergeva dal suo tono era più o meno: “ma chi cazzo ti credi di essere?”). Adesso che pubblico romanzi tutti diversi tra di loro, scopro invece che questa differenza è un valore… Buffa la vita.
Cosa stai leggendo in questo periodo? Che libro ti ha colpito di più recentemente?
Ho da poco finito le Storie di Erodoto, e mi dispiace assai perché è stata una lettura bellissima. Adesso sto leggendo anche il Viaggio di Celine, di cui avevo letto interviste e altre cose. Non leggo mai un solo libro, e alla letteratura (classici antichi, classici moderni, contemporanea e qualche libro di poesia) affianco libri di storia e di filosofia.