Punti in comune tra Carlo Monterossi e Manlio Parrini? Non pochi. Entrambi abitano e vivono Milano, entrambi amano scoprire la verità, in qualche modo vivono di televisione e tutti e due possono contare su una squadra improbabile e sulle dinamiche che inevitabilmente la governano. Ma sarebbe clamorosamente fuorviante pensare che l’attempato Maestro del cinema Manlio Parrini, protagonista di “Le verità spezzate” di Alessandro Robecchi (Rizzoli editore) sia una sorta di clone di Carlo Monterossi, il fortunato personaggio al centro di una serie di altissimo gradimento.
Questa volta la Milano di Robecchi è decisamente diversa: un po’ più sfumata, in bilico tra passato e futuro ma ugualmente affascinante anche se decisamente meno approfondita nelle sue descrizioni e nelle sue sfaccettature rispetto a quella di Monterossi. Se in quel caso Milano era una coprotagonista della storia, qui è pura ambientazione e poco altro.
Con “Le verità spezzate” Robecchi fa arrivare in libreria un nuovo detective che di fatto non lo è: Manlio Parrini, grande regista italiano, indaga la scomparsa di Augusto De Angelis, il padre del giallo italiano, un gigante del genere nazionale al centro di una vita sempre in fuga dalla censura e dalla persecuzione fascista che per nulla gradiva il genere poliziesco in un constesto in cui, in Italia, tutto doveva sembrare essere perfetto. La morte di De Angelis avvenuta a Bellagio nel 1944 non ha mai convinto del tutto la critica e Parrini intende approfondirla per farne un grande film, quello del suo ritorno al cinema d’autore dopo lunghi anni di silenzio. Se la morte di De Angelis era in qualche modo legata alla censura del regime che ne voleva limitare e modificare la produzione letteraria, parallelamente alla sua indagine Parrini si ritrova alle prese con le limitazioni che ipotetici finanziatori del suo film tentano di porgli: scelta dei collaboratori, degli attori, delle ambientazioni che allontanerebbero sempre più il suo film dal proprio concetto di verità; proprio queste limitazioni spingeranno Parrini verso una forte empatia morale con De Angelis e verso il rifiuto di qualsiasi compromesso.
Con poche certezze professionali e seguendo da lontano ma non troppo un delitto che si è consumato a pochi metri da casa sua, Parrini scava nel passato di De Angelis, cerca di scoprirne i punti deboli e ricostruisce la verità storica (che nel caso specifico poco ha a che vedere con la verità della giustizia) restituendo così a De Angelis l’onestà della cronaca della sua scomparsa e riportando anche a galla una catena di solidarietà e onestà intellettuale che ha saputo resistere, tra cantine polverose e archivi dimenticate, al passare inesorabile degli anni.
Nel suo lungo viaggio verso la realizzazione del proprio film, Parrini si scoprirà capace di ritrovati slanci di gioventù, scoprirà il fascino di due donne che non sanno essergli indifferenti e intreccerà un rapporto di superificiale amicizia ma profonda collaborazione con un cronista grazie al quale risuciranno ad aiutare una giovane PM a risolvere il delitto della vedova Bastoni, il caso “live” che in qualche modo accompagna il lettore nella risoluzione del vero caso.
Ritroveremo nei prossimi mesi la figura di Manlio Parrini? Il personaggio ha tutte le caratteristiche per poter diventare “seriale” e le connessioni costruite in questa prima indagine sembrano lasciare aperta più di qualche finestra su una prossima avventura milanese dell’ultima creatura del padre di Monterossi.
Una storia che non potrà lasciare indifferenti, che saprà incuriosire il lettore in un giallo tipico di Robecchi ma che al tempo stesso lo porterà a riflettere sul tema della libertà, valore intellettuale che nel terzo millennio viene dato per scontato ma che troppo spesso viene manipolato e subordinato ad altre logiche.