Il maggiore dei Reali Carabinieri Aldo Morosini è in fermo obbligato all’ospedale di Massaua perché ha contratto la malaria, nell’Eritrea di fine anni ’30.
Lascia in sospeso le indagini sulla morte di un solitario quanto benestante individuo, ritrovato impiccato in casa sua, senza indizi che suggeriscano il perché e, forse, neanche la verità sul come.
Nonostante le febbri improvvise e frequenti lo gettino nell’impotenza, Morosini non si arrende all’inoperosità e trova il modo di indagare sul caso, anche in maniera non ufficiale. Sullo sfondo, l’Italia del colonialismo con la mentalità che l’accompagna, le piccole grandi miserie dell’Africa colonizzata e l’umanità in senso stretto, unico vero filo conduttore di tutto il romanzo.
Giorgio Ballario propone una nuova indagine del suo personaggio seriale, ufficiale dei Reali Carabinieri nel periodo di maggior espansione non solo del Regno d’Italia sotto il fascismo, ma della convinzione italica nella bontà medesimo.
Uno spaccato del ventennio che non indaga, almeno in questo romanzo, sui buoni e suoi cattivi, non pone né risponde a domande importanti, non cerca vittime né colpevoli, si limita a raccontare una storia, una delle tante possibili. E lo fa bene, rendendo vivi e umani i personaggi che, me lo si passi, assomigliano tanto a Montalbano con i suoi poliziotti. Sì, il Maggiore Aldo Morosini è una sorta di riuscito Montalbano degli anni’30, che non può rinunciare alla sua sigaretta quotidiana neppure in convalescenza, come non può fare a meno di perseguire, certo, il suo dovere quando gli tocca notare piccoli crimini che avvengono vicino a lui, ma che alla fine dà la precedenza all’umanità di chi vuole sempre fare la cosa giusta, senza applicare freddamente la legge dove non vorrebbe. In questo senso, e non in altri, assomiglia a Montalbano.
Come in tanti romanzi simili, con un personaggio seriale come indagatore, di solito ufficiale dell’Arma o della Polizia, il personaggio se tratteggiato bene è quello che da solo regge la storia. Vale a dire che la vicenda passa, in un certo modo, in secondo piano rispetto alla qualità dei protagonisti, di come sono dipinti. In questo caso, Ballario è stato bravissimo.
Il linguaggio è dotato di vita propria, si sente la ‘voce’ dell’autore e questo è un pregio non da tutti. Potrebbe scrivere la lista della spesa, farla recitare dal Maggiore Morosini e sarebbe comunque una storia interessante da leggere.
Scavando più a fondo, grattando sotto la vernice, rilevo che la trama è sì omogenea, non velocissima per costruzione volontaria, ma forse nel mezzo una accelerata in più, in certi capitoli, poteva starci. Vero, sono stati riempiti a dovere con altri ragionamenti, casi umani, fatti utili all’investigazione, però possiamo dire, senza che ne vada a detrimento, che è una storia che parte con il diesel, vale a dire che si accende pian piano, rimane come sottotraccia per un bel po’ e cova come la brace, silente ma calda. Non è un difetto, anzi: è una scelta stilistica, e si vede, ed è ben costruita. Poca azione, molto ragionamento e spessore umano.
Ecco, pur senza indagare a fondo sui tanti possibili argomenti che quegli anni offrirebbero, Ballario rende comprensibile l’aria che tirava in quei tempi con la variante umana (e scusate se mi ripeto, ma è fondamentale) per la quale è vero che, anche in Russia, gli italiani erano davvero considerati ‘brava gente’ nonostante tutto. Ballario ci dà il perché. Sarei curioso di leggere un Ballario che spiegasse che tipo di ‘brava gente’ saremmo oggi se andassimo in Africa, o verso gli africani in genere, ma forse è meglio di no.
Per concludere: un ottimo esempio di giallo all’italiana. Acquisto consigliato.
P.S.: Edizioni del Capricorno ha vinto la battaglia contro i refusi. Ottimo lavoro di revisione.
Le nebbie di Massaua
Dario Villasanta