La breve favolosa vita di Oscar Wao

Narra la leggenda che sia impossibile per un dominicano morire vergine, il povero Oscar sembra essere stato generato apposta per smentire questo clichè.
Appassionato di fumetti, giochi di ruolo e fantascienza, obeso, arrendevole, succube della madre, sentimentale e perennemente innamorato di donne fuori dalla sua portata il protagonista di questo libro, vincitore del Pulitzer 2007, è in una parola un nerd.
Oscar sogna di diventare il nuovo Tolkien, scrive e legge con avidità, attraversa la vita col suo bagaglio di sfiga e inadeguatezza convinto di venire da un mondo, i Caraibi, stranamente simile ai luoghi magici e dannati della fantascienza, e di essere maledetto per discendenza famigliare.
Seguendo la sanguinosa storia recente della Repubblica Dominicana attraverso la vita della madre di Oscar, Beli Cabral, si può capire come le idee del ghettonerd non siano così infondate: il suo destino dipende dalla storia della sua terra, della sua gente e della sua famiglia, una storia maledetta dal malocchio di un demone detto fukù.
Il paladino e sommo sacerdote del demone è Trujillo (el Jèfe), Caudillo di una dittatura che ha trasformato l’isola paradisiaca in una Mordor dove chiunque si oppone viene eliminato, dove tutte le donne avvenenti (a Santo Domingo lo sono quasi tutte) vengono stuprate nei campi di canna da zucchero. Carcere, tortura, incidenti e tante sfortune amorose pesano sulla famiglia fin dai tempi in cui il nonno Abelard disse “una brutta cosa” sul Jefe e tentò di nascondere la bella primogenita dalle sue grinfie, tutta la discendenza è segnata dal fukù: la maledizione seguirà i Cabral nel New Jersey turbando le vite di Oscar e di sua sorella segnando il loro legame ancestrale con l’isola dei genitori.

Il libro è polifonico, le voci della sorella Lola e dell’autore (un palestrato stereotipo del dominicano medio) commentano la cattiveria della madre che ne ha passate tante e la goffaggine di Oscar ossessionato dalla sua verginità.
Junot Diaz usa un linguaggio semplice e diretto, quasi da strada, il suo stile ci immerge completamente nelle suggestioni della R.D. e nella vita metropolitana degli immigrati grazie allo slang e alla schiettezza nel raccontare le situazioni, ci narra due storie sommerse perché marginali.
Dell’unico sfigato dominicano, che desidera le ragazze per quella sua natura caraibica zavorrata da ciccia corporea e passioni alienanti che ingigantiscono il suo mondo interiore rendendolo incomprensibile agli altri, e di una nazione sfigata dominata dalla violenza e dal machismo, ancora attaccata a credenze animistiche, ma che dota i suoi abitanti di un bagaglio di sensualità e forza di vivere presente, in minima parte, anche in Oscar.

matteo cavazzon

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