Antonio Fusco ormai non ha più bisogno di presentazioni, né per i lettori di MilanoNera né, in generale, per gli appassionati del thriller-noir d’autore.
I suoi recenti romanzi Ogni giorno ha il suo male, La pietà dell’acqua e Il metodo della fenice, tutti con protagonista il commissario Casabona della questura di Valdenza e la sua squadra, sono già divenuti, a pieno diritto, dei classici del settore.
Ho avuto nuovamente il piacere di intervistarlo in occasione dell’uscita in libreria di Le vite parallele (sottotitolo: Un nuovo inizio per il commissario Casabona) (Giunti Editore), quarto romanzo con il mitico funzionario di polizia.
Antonio, il tuo nuovo romanzo Le vite parallele è sottotitolato “Un nuovo inizio per il commissario Casabona”; senza svelare nulla della trama, puoi spiegarci il motivo di questo particolare sottotitolo?
La prima trilogia di Valdenza è stata caratterizzata dalla centralità del personaggio del commissario Casabona, raccontato soprattutto nella sua dimensione umana. Le sue sofferenze interiori, le sue angosce, i suoi affetti lo hanno definito fortemente rendendolo credibile e vero. Con “Le vite parallele” la scena si allarga e le storie diventano più corali. I vari personaggi della Squadra assumono contorni, caratteristiche e ruoli più netti. Tutto si svolge con il presupposto che ormai il lettore è di casa e non c’è più bisogno di spiegargli né di nascondergli nulla.
In passate interviste, hai spiegato che di solito trai liberamente lo spunto per i tuoi romanzi da fatti veri di cronaca, liberamente reinterpretati. Lo stesso vale per Le vite parallele?
Certo. L’ispirazione di partenza è venuta dal caso di Maddie McCann, la bambina britannica di quattro anni sparita durante una vacanza con la famiglia in Portogallo, nel 2007. Ma, come dicevi tu, si tratta di spunti che poi prendono una loro strada.
Molto spesso alla verità giudiziaria si arriva per vie o motivi a volte apparentemente impensabili o attraverso percorsi inizialmente anche errati. Le vite parallele ne è un chiaro, riuscitissimo esempio. L’esito di un’inchiesta “reale” davvero fino all’ultimo non è mai scontato?
Mai. Altrimenti non esisterebbero tre gradi di giudizio. La ricostruzione di fatti accaduti è sempre discutibile fino a che non si formi, attraverso il passaggio in giudicato di una sentenza, quella che si chiama “verità giudiziaria”. Che, comunque, è sempre un’approssimazione rispetto alla “verità reale”, perché difficilmente riesce a rappresentarla, in modo univoco, in tutti i suoi aspetti.
Se non erro, tu hai detto in qualche intervista che il commissario Casabona riassume in sé le caratteristiche di molti investigatori reali… Secondo te, qual è l’aspetto del suo carattere che ce lo fa particolarmente amare?
Come dicevo prima, è la sua dimensione umana che crea empatia. È un uomo che si avvicina con delicatezza ed estremo rispetto ai fatti di cui si deve occupare. Soprattutto alla sofferenza delle vittime che diventa anche la sua. Non ha paura di mostrare i propri sentimenti e le proprie debolezze. Sa essere duro quando è necessario ma diventa dolce e protettivo verso chi ne ha bisogno. Un uomo come tanti, insomma. Che fa un lavoro impegnativo e si sforza di farlo al meglio restando con i piedi per terra.
Penso che una delle chiavi del successo dei tuoi romanzi stia nel fatto che riesci a unire la bravura e l’ispirazione dello scrittore di razza con la tua profonda conoscenza del mondo investigativo. Da addetto ai lavori, pensi ci siano degli errori che uno scrittore di noir dovrebbe assolutamente evitare?
La conoscenza delle tecniche investigative aiuta molto ed è uno degli aspetti che viene apprezzato di più, ma la chiave del successo credo che sia rappresentata dai sentimenti che vengono evocati nei romanzi attraverso un’introspezione di grande profondità del personaggio. I lettori, anzi soprattutto le lettrici, che sono molte di più, ritrovano in molte riflessioni di Casabona ciò che hanno provato nelle loro esperienze di vita reale e rielaborano emozioni che erano rimaste nascoste nell’intimo.
Tornando alla domanda, secondo me sono due le insidie che uno scrittore di noir dovrebbe evitare: quella di lasciarsi attrarre dagli stereotipi del genere e quella di voler far incastrare in tutti i modi un finale inverosimile per stupire il lettore.
Fra tutti i premi e riconoscimenti letterari che hai già meritato nella tua relativamente recente carriera di romanziere, ce n’è uno a cui sei particolarmente affezionato?
Il premio “Mariano Romiti”, che si assegna ogni anno a Viterbo. Viene deciso da una giuria formata da 60 esperti, composta da magistrati, avvocati, appartenenti alle Forze dell’ordine; tutta gente, insomma, che non si fa ingannare da effetti speciali e asini volanti.
Rinuncio alla mia classica domanda finale sui sogni nel cassetto, in favore di un’altra, altrettanto classica… possiamo sperare di rivedere ancora una volta all’opera il mitico commissario Casabona?
Se il buon Dio mi dà la forza e la salute per farlo, sicuramente sì.