Sul numero due di MilanoNera trovate la recensione de I lupi della notte di Amor Dekhis che abbiamo intervistato.
Perché la scelta dell’anno 2015?
Quando è nata l’idea del libro e anche quando l’ho finito 5, 6 anni fa, il 2015 sembrava ben lontano. Ora si sta avvicinando inesorabilmente. La scelta di quel momento non casuale, in parte è un messaggio, in parte è motivazione tecnica che la costruzione della narrazione richiedeva. Quando si commettono delle gravi responsabilità, alle volte, succede che non si può sempre farla franca e che il tempo ci rende giustizia. E perciò occorreva costruire un personaggi che ha vissuto il corso della storia, dal passato al futuro. I fatti del passato sono ispirati a un periodo reale e tragico e ben definito nel tempo, che ha colpito tutto una paese, tutta una popolazione. Le scoperte relativa nel futuro sono poco probabili ma auspicabili nel vero senso della giustizia. Tuttavia il romanzo è soltanto un grido, una protesta, uno sfogo, perché di fatto, è stata una guerra inutile, con decine di migliaia di morti, la devastazione che ha lasciato, e poi una resistenza confiscata, il potere decisionale è tornato quello di prima. Sembra come se tutto fosse stato costruito a tavolino, in modo che nessuno azzardi un’impresa di cambiamento.
I tre fratelli sono 3 prospettive diverse di una realtà complessa, quale sente più vicina?
La realtà è davvero complessa e inestricabile, totalmente diversa da come viene trasmessa dalle esigue e sommarie notizie di cronaca. Tutti e tre avrebbero potuto convivere in sintonia, se non fosse venuto a sollevarsi il polverone della guerra civile che ha frantumato il paese, che l’ha colpito fino alla sua piccola cellula: la famiglie. Con alcune riserve, si potrebbe indovinare bene che sento più vicina la prospettiva Salè (Salah), o almeno mi augurerei qualcosa di simile. Salah è il tipico che si trova a suo agio in un ambiente di tolleranza dove tutti possono esistere nel senso più ampio, che non giudica gli altri, che vive e lascia vivere, che rifiuta la negazione del diverso, un po’ come lo è la mentalità della maggior parte della gente.
Ci può spiegare il rapporto di Salè con le sue due “donne”?
È un rapporto tragicamente importante che determina la sua esistenza, la sua identità, il suo destino. Colmo di incognite, lo porta alle stelle per poi immergerlo nella peggior fine.
Crede davvero che nulla avvenga per caso?
Che nulla non avvenga per caso, penso che accada soltanto nella madre natura nel suo complesso. Il caso magari trova poco terreno nelle costruzioni narrative basate sul principio dell’intreccio. Tuttavia esso non rimane un elemento da scartare, saperlo gestire, sia nella fiction, sia nella quotidianità, darebbe esiti interessanti, ne sono certo.
Il pensiero mussulmano perché è così importante? E cosa le ha insegnato?
Vista la vastità di tutto un mondo, di molte popolazioni e etnie di confessione musulmana, il pensiero musulmano non dovrebbe che essere importante e preso in considerazione. Detto questa non significa che si debba imporre il pensiero unico, sarebbe una follia. Da fonte a fonte di interpretazione, lo possiamo trovare così variegato, da quello con un punto di vista così stretto e ispirato alla sola religione a quello libero praticato, sì, da persone di confessione musulmana, ma ispirata all’intelligenza umana, in tutti i campi della società. Appartengo ad una famiglia che ha avuto una storia profondamente religiosa, ma soltanto nella cerchia privata. Nei suoi rapporti con la società, teneva una reazione pressoché laica. Questo è il clima che aveva regnato sempre in Algeria. A quanto a me, pur essendo non praticante e credendo nei principi universali, il pensiero musulmano mi ha insegnato che ogni cosa ha un suo limite. Sul principio si discute solo nelle estreme esigenze, esso dovrebbe passare prima di ogni cosa, l’interesse della collettività passa prima di quello personale. E avere la coscienza a posto è una ricchezza.
Il pensiero occidentale e la sua esperienza in Italia cosa le hanno insegnato?
Il pragmatismo, la razionalità, andare dritto all’obbiettivo senza dar ascolto ai tentennamenti di considerazioni inutili. E che il ruolo dell’individuo è altrettanto importante.
Ci spiega il ruolo della lingua, così importante e potente nel suo romanzo?
Devo ammettere che questa è una domanda che mi lusinga, pur essendo restio ai complimenti, la prendo come tale. Forse è dovuto per il fatto di aver avuto un rapporto con la lingua (l’Italiano) così stretto, così sentimentale che non ho mai smesso di intraprendere ricerche di studio e di utilizzo. Sono sempre stato colpito da frasi costruite in modo originale, da sostituzioni accorte di termini o parole.
Perché consiglierebbe la lettura del suo libro al pubblico?
Alcuni miei amici e conoscenti che erano al corrente che stava per uscire un mio libro, -poi il libro ha messo un po’ di tempo-, non hanno smesso di bersagliarmi con la domanda “e il libro? e libro?”, ed io non rispondevo che con un’alzata di spalle o allargare le braccia. Poi quando giunto è in libreria non me ne hanno più parlato. A volte per pigrizia pensiamo che altri siano simili a noi stessi. Se siamo lettori pensiamo che loro lo sono altrettanto, appena saputo di un libro, corrano ad acquistarlo, ma non è così… Personalmente quando evoco la lettura lo faccio con elogi, quindi io consiglierei sempre la lettura, a prescindere del mio libro o altro, leggere non è mai una perdita di tempo, c’è sempre, se non da imparare da spere qualcosa in più. A quanto al mio, penso che sia un’occasione buona per entrare in contatto con una realtà, da un punto di vista diverso offerto dai mass media.