Quando l’autunno scorso Caino è uscito nelle librerie portoghesi, la Chiesa lusitana ha gridato allo scandalo. I vescovi accusarono Josè Saramago di offendere milioni di cattolici in tutto il mondo, denunciando la rilettura ”irriverente se non oltraggiosa” dell’ episodio biblico.
A vent’anni dall’uscita del Vangelo secondo Gesù Cristo (e dalle accuse e clamore che suscitò), il premio Nobel torna a occuparsi dei testi sacri e di religione. E lo fa alla sua maniera, da ateo convinto e mai pentito: reinterpretando il primo fratricidio tramandato dalla Bibbia, quello di Abele.
Caino, essere umano né migliore né peggiore degli altri, è voce narrante, protagonista e spettatore. Condannato a un destino errante, attraverso spazio e tempo, racconta della blasfema convivenza fra Eva e il cherubino Azaele, l’assassinio del fratello e il successivo dialogo filosofico con Dio, il marchio e l’ incontro con l’insaziabile Lilith nella città di Nod. Assistiamo al sacrificio di Isacco, alla costruzione della Torre di Babele e alla distruzione di Sodoma. E’ lui che dialoga con Mosè che vede nascere l’identità iraelita e che assiste alle prove inflitte al povero Giobbe.
Riscrittura umanocentrica, ironica e personalissima della Bibbia, Caino è na singolare invenzione letteraria e una potente allegoria che mette in scena l’ assurdo di Dio più crudele del peggiore degli uomini.
Saramago ci delizia e ci fa riflettere con quella sua lucida e inconfondibile ironia capace di trasformare in sublime letteratura ela storia di Caino che accetta il proprio castigo ma, contemporaneamente, insorge contro un Diocrudele tanto quanto gli uomini che l’hanno inventato, invidioso, corresponsabile. E a questo Dio che Saramago, chiede spiegazioni, per constatare che “la storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con Dio, perchè lui non capisce noi, e noi non capiamo lui”.
Un testo forte, intenso, perchè la grande letteratura è fatta per conficcarsi in noi lettori come un coltello nella pancia.