La badante e il professore – Bruno Morchio



Bruno Morchio
La badante e il professore
Mondadori
Compralo su Compralo su Amazon

A volte il poliziesco diventa un pretesto per indagare sulla nostra società, su un mondo malato  in cui pare sempre più difficile far vincere il bene sul male.  Un ottimo pretesto e che riesce a funzionare come un orologio. E allora, senza tirarsi indietro, bisogna  fare la scelta di  Bruno Morchio  che  con il suo “La badante e il professore” prova a farci navigare avanti nel tempo fino al 2038  per poi raccontare il mondo, quel mondo malato  dell’oggi, attraverso gli occhi di un bambino,  appena  dodicenne ma già  preso dei primi fremiti adolescenziali.
In un paesino ligure del primo entroterra, preda della speculazione edilizia e del piccolo malaffare, trincerato in una paurosa difesa razzista contro i nuovi venuti, i forestieri, gli sconosciuti e gli stranieri, un dodicenne, Filippo Sarzana,  detto Sarzetto (parola genovese che indica l’insalata altrove conosciuta come songino o valeriana),  vorrebbe  saperne di più sull’omicidio  dell’anziano professore Canepa,  che gli dava ripetizione d’italiano. Anche e soprattutto perché è stato proprio lui, benché per ovvi motivi di riservatezza il suo nome resti almeno all’inizio noto solo alla polizia, a scoprire  il cadavere dell’anziano docente. Stavano tornando  lui e la fascinosa badante del professore dalla consueta passeggiatina pomeridiana, dopo la lezione,  per prendere una cioccolata in tazza, al Caffè della Posta.
Come comincia a girare la notizia che lo stimato concittadino, il professor Canepa, vedovo da anni e solo, è stato ferocemente ammazzato a casa sua, qualcuno gli ha  sfondato la testa  con  un busto di Leopardi,  i primi sospetti  della polizia e dei cittadini si focalizzeranno  proprio su Natalia,  la giovane  badante ucraina che da un anno aveva preso servizio in casa del docente. E benché il  concetto badante-assistito ai nostri giorni , faccia ormai parte della normalità nei piccoli agglomerati urbani, si sa bene  che  l’attività  più comune all’interno dei rapporti sociali tra cittadini resta e resterà sempre : il pettegolezzo.  E benché Natalia  sia riservata,  educata, parli poco, vesta sempre in modo da non farsi notare, resta sempre un’immigrata che  viene da lontano,  da un paese martoriato dalla guerra, e pare troppo giovane e attraente per non  scatenare  le malelingue. Malelingue che imperversano, insinuando d’ogni “bene”  e  come gli altri le sentirà  anche Filippo, dodici anni, che con le gratuite ripetizioni del professore cercava di riparare ai suoi guai con l’italiano. Nella valle si fanno largo la voce e le illazioni  della stampa della televisioni e dei  social media.
Ma Filippo non crede, anzi non può matematicamente  credere che Natalia sia l’assassina, perché era  con lui  al Caffè Posta,  proprio  durante l’ora in cui è stato commesso il  delitto.
Al funerale del professore spunteranno poi dei nipoti mai visti in circolazione, nipoti della  moglie defunta, che reclamerebbero l’eredità e invece ci sarebbe  un testamento…
Ma le cose vanno per le lunghe e,  data l’ignavia della polizia che continua a girare inutilmente a vuoto,  per scagionare. completamente Natalia  e dimostrare la sua innocenza, bisognerebbe  riuscire a scoprire il vero colpevole. A Filippo non resta che indagare sottobanco chiedendo aiuto alla simpatica, intelligente e scafata sorella maggiore Teresa e al praticante giovane giornalista che sogna la firma in prima pagina, tal Serafino Costa.
Riuscirà il dodicenne Filippo Sarzana detto Sarzetta  a sbrogliare il mistero della morte del professore e a scoprire  il vero assassino?
Una piccola grande storia vista con gli occhi, la testa e i sentimenti di un ragazzino che vuol crescere, sentirsi grande  e cerca di sopperire con  la perspicacia e la voglia di riuscire alla sua  inesperienza sui fatti della vita.
Non è un cosy crime, perché volutamente non è stato scritto guardando al lieto fine o al trionfo del bene contro i crimini commessi  magari con per solo scopo stravolgere  la routine … E arrivare alla giustizia, ma quale giustizia? Stavolta nessuno è del tutto innocente. Verità  che renderà  ai personaggi del romanzo dolori, miserie e leggerezze,  in un complice e letterale “realismo” scevro del falso perbenismo di tante storie poliziesche.
La giustizia  quindi  non vincerà, mentre invece s’imporranno alcune precise scelte personali legate ai sentimenti, alla compassione.
Per spiegare meglio la vicenda narrata nelle ultime pagine la storia si rifà al  diario del dodicenne  Filippo Sarzana, poi diventato un brogliaccio e riscritto mentre frequentava  la scuola superiore e finalmente rivisto completamente e pubblicato a “oggi 2038”.
Un storia che indugia  a lungo narrando con incisivi particolati  di una vallata, che i genovesi riconosceranno subito , di un comune adiacente alla città, il vorace cambiamento di un territorio  pericolosamente situato su un fiume, il Serra, facile  a esondare  appena piove davvero, e che costituisce un po’ la periferia genovese.
Insomma,  quella zona di spopolamento industriale  in cui il disfacimento delle fabbriche, le le difficoltà create dai politici in caccia di voti spargendo solo  odio e paura, ha provocato  spaccature non solo nel paesaggio, ma anche e soprattutto nel tessuto sociale e delle coscienze, trasformando le aspirazioni  umane in inganni, i desideri in incubi e i residenti in un fazioso complesso  di persone votate all’emarginazione.
In questo desolato panorama il professor Canepa rappresentava l’unico  faro ancora disposto a risvegliare le coscienze dei più giovani, tenendo in vita la memoria di un pezzetto della loro storia: ovverosia ciò che era stata  per la gente quella valle nell’ultimo secolo.

Patrizia Debicke

Potrebbero interessarti anche...