A Bologna è arrivato il nuovo questore, Felice Maria Pinna, sardo di Masullas, e sin dal suo insediamento, l’11 dicembre del 1861, tutti intuiscono che l’aria sta per cambiare e che il nuovo Stato italiano con la mente piemontese, non è disposto a tollerare oltre lo sfacciato potere delle Balle, i gruppi consolidatisi durante gli ultimi anni dello Stato Pontificio, né dei loro caporioni che si fanno i propri affari e dettano legge nella capitale emiliana, minacciando, intimidendo, uccidendo.
Capipopolo che resistono al potere savoiardo o criminali per il nuovo stato italiano? Di fatto le Balle
sono uno stato nello stato, e sono diffusi in ogni quartiere.
A Bologna, che in quegli anni conta oltre centomila abitanti, di Balle ve ne sono a iosa, vi è la Balla di Mirasole, la Balla Grossa, la Balla di Saragozza che ha il suo quartiere generale all’osteria della Corona, la Balla dalle scarpe di ferro, la più importante, composta da uomini più arrischiati e feroci, la Balla di Strada Stefano che si trova alla Fontana, la Balla di Torleone e molte altre ancora.
Arruolatosi in Polizia a 33 anni, nel 1852, rinunciando a una carriera forense nella propria isola, Felice Pinna inizia la sua attività a Torino per poi approdare a Bologna otto anni dopo, in sostituzione del questore Paolo Buisson, di cui era nota l’eccessiva tolleranza, per non dire altro, con la criminalità cittadina. Felice Pinna al contrario, prende di petto le Balle.
Fin da subito mette in chiaro i propri intenti coi suoi collaboratori, fa convocare qualcuno dei capi riconosciuti, come Camillo Trenti, a cui fa intendere la nuova musica, costituisce una Squadra speciale, infiltra dei suoi informatori e comincia a tessere la tela per dipanare e fare rispettare l’ordine nuovo di legalità che intende adottare nella città assegnata alla sua tutela.
La prima occasione gli viene dato dall’assalto alla diligenza che arriva dalla Toscana e che trasporta i soldi per l’ufficio pagatore della ferrovia in costruzione sull’Appennino. Un gran colpo di cui viene a conoscenza estorcendo l’informazione a una mezza tacca criminale.
Organizza quindi un finto trasporto, facendo fallire il colpo, per poi mettere alle strette i trasportatori per individuare gli assalitori che se ne erano tornati scornati e con le mani vuote. Ma quelli hanno troppo paura, nessuno vuole parlare, ma Pinna, il sardo, non si fa scrupoli nell’incarcerare anche loro per estorcere le informazioni che gli servono per inchiodare gli assalitori.
Un attacco frontale alla criminalità organizzata che reagisce immediatamente, facendolo oggetto del lancio di una bomba in strada, che però finirà soltanto per ferire chi lo accompagnava, mentre lui, il questore sardo tanto inviso alle Balle, rimase illeso.
Una storia d’altri tempi dunque, scritta come un romanzo, una storia vera tratteggiata con maestria dal padre nobile del giallo italiano, Loriano Macchiavelli, primo vincitore nel 1980 del prestigioso premio “Alberto Tedeschi” col suo personaggio iconico, il sergente di Pubblica Sicurezza Sarti Antonio, nato dalla sua penna nel 1974.
Negli anni Macchiavelli ha intrapreso anche una proficua collaborazione col cantautore Francesco Guccini e dalle loro penne sono nati i gialli ambientati sull’Appenino bolognese, luogo tanto caro a entrambi.
Nel corso della sua lunga carriera Macchiavelli, oltre quarant’anni fa, venne in contatto con lo scrittore Roberto Roversi, storico gestore della Libreria Antiquaria Palmaverde, che gli fece conoscere una Bologna inedita e misconosciuta del secolo precedente, roba che a leggere gli atti processuali dell’epoca, il Far West non fa impressione. Roversi gli mise in mano un pesante e capiente volumone contenente le dispense e i giornalieri resoconti dello storico processo che si tenne a Bologna nel 1864 contro ben 110 soggetti imputati di una sfilza di reati che andavano dall’associazione a delinquere agli attentati a magistrati e a funzionari della questura, ma anche assalti a banche, alla Zecca di stato, sequestro di interi paesi, assalti alla diligenza Bologna-Firenze e molto altro ancora. In totale ben 23 capi di accusa.
Per l’occasione, visto l’incredibile numero di malfattori alla sbarra e stante che il Tribunale di Bologna era insufficiente a contenere tutti gli imputati, il processo si tenne nel salone d’Ercole di Palazzo d’Accursio (Palazzo comunale) che si affaccia su Piazza Maggiore, e fu anche costruita un’enorme gabbia di ferro, all’interno della quale stavano gli imputati seduti su delle panche.
Per alcuni storici fu proprio quello il primo maxiprocesso dell’Italia Unita contro la criminalità organizzata. Detto anche la Causa lunga, tale processo cominciò il 26 aprile 1864 davanti alla Regia Corte di Assise del Tribunale di Bologna e si concluse dopo sei mesi, e per tutta la sua durata venne seguito con passione e finanche con partecipazione dalla cittadinanza, soprattutto dal pubblico femminile. Si concluse con diverse condanne ai lavori forzati e il carcere a vita per molti.
Come si legge in quarta di copertina: Con la sua scrittura acuta e trascinante, Loriano Macchiavelli racconta un Regno d’Italia che tanto somiglia, per i suoi intrighi e le sue macchinazioni, al Paese che conosciamo.
Un romanzo per certi versi sorprendente. Da leggere sicuramente e da consigliare.