Carvalho – Problemi di identità è il libro di Carlos Zanon che ci riporta Pepe Carvalho, l’amato personaggio di Manuel Vasquez Montalban. Il nostro Paolo Manacorda e Manuel Figliolini de La bottega del giallo hanno incontrato Carlos Zanon nella sede della Sem in occasione del suo viaggio in Italia per la presentazione del libro. Ecco il resoconto della loro chiacchierata.
La prima domanda che volevo farti è: che cosa c’è di Carlos Zanon nel tuo Carvalho?
Bueno, soprattutto lo stile di scrittura. E’ un romanzo che ha lo stesso stile di scrittura dei miei precedenti, non è cambiato nulla. Mi piaceva che Carvalho si facesse prendere di più dalle emozioni, che desse un poco fuori di matto, che avesse un qualcosa di poetico, che il lettore avesse occasione di entrare nella testa di Carvalho e anche che il libro avesse un qualcosa di sperimentale. Ho voluto provare a scrivere un libro di successo pur correndo dei rischi tecnici, come il cambiare la persona, lo scrivere capitoli piuttosto onirici.
E’ un’impresa piuttosto coraggiosa scrivere l’ “apocrifo” su un notissimo personaggio di un altrettanto, se non più noto, scrittore come Vazquez Montalban. Cosa ti ha portato a intraprendere quest’impresa?
Innanzitutto, forse, la voglia di sperimentare qualcosa che non avevo mai fatto prima. Non avevo mai scritto in prima persona, non avevo mai scritto di una città che non fosse la mia, non avevo mai scritto un giallo. Ho voluto mettermi alla prova nonostante ci fossero molte cose che stilisticamente non mi appartenevano, come lo scrivere un hard boiled con tutti i suoi stilemi più tipici.
Io credo che scrivere o dedicarti a qualcosa di artistico abbia dei rischi: è diverso dallo scrivere le istruzioni di una lavatrice. Quando uno scrive cerca delle risposte a delle cose che lo interessano e il libro si basa proprio sulla volontà di approfondire ciò che mi importa in questo momento,riguardo l’età, le relazioni, l’ambiente politico, quasi una necessità autobiografica,insomma.
Ma perché proprio Carvalho?
Perché me lo hanno proposto. Se mi avessero chiesto di scrivere su Indiana Jones o l’Uomo Ragno, avrei scritto lo stesso.
Quindi non perché tu hai una “infatuazione” letteraria per Vazquez Montalban o per Carvalho di per se stesso.
No, l’ho letto da giovane e mi ricordo di quando me lo prestavano gli amici, ma non li consideravo libri di letteratura quanto, piuttosto, libri divertenti che erano ambientati nella mia città. Quindi ne avevo un ricordo molto bello ma non posso dire che abbiano avuto un’ influenza su ciò che poi ho fatto. Lo ammiravo molto come giornalista, ma scrittori come Juan Marsè o Eduardo Mendoza mi hanno maggiormente influenzato, pur avendo un diverso stile di scrittura.
In Italia c’è un’altra persona che ha fatto una cosa simile alla tua, Becky Sharp che ha creato la nipote di Poirot. Quindi, un’operazione di recupero di personaggi che sono stati dei capisaldi del poliziesco o della letteratura gialla, però cercando di trovare un compromesso. Qual è stato il compromesso che tu hai fatto con il tuo vecchio Carvalho?
Innanzitutto il non tradirlo negli aspetti che ritengo essenziali: il suo cercare la verità anche se poi risulta deludente, il suo non prendere posizione riguardo la sua patria di origine e la sua visuale nostalgica e critica riguardo il sistema. Non ho voluto stravolgere il personaggio e nemmeno far dimenticare al lettore che il personaggio ha il suo proprio autore, con cui infatti Carvalho parla durante tutto il romanzo. Questo è il mio compromesso: non fare cose che lo allontanassero troppo dal personaggio che Vazquez Montalban ha costruito e amato. Credo che nessuno abbia il diritto di fare ciò.
L’ idea era recuperare un personaggio quando il suo autore non c’è più. Non lo avrei mai scritto se la famiglia non me lo avesse chiesto. E credo che, come autore, se hai la fortuna di scrivere di un personaggio così iconico come Carvalho,vorresti portarlo tra la gente, per strada, vicino alle persone, piuttosto che chiuso in un museo. Carvalho lo abbiamo letto in moltissimi, ma oggi una persona di trent’anni non lo legge. Ho trovato affascinante e interessante la possibilità di riportare alla luce un personaggio come Pepe e cercare di renderlo contemporaneo.
Originale nel tuo libro è il rapporto di Carvalho con lo “Scrittore”: la concretizzazione di Carvalho come persona reale e il relegare Vazquez Montalban quasi a un ruolo da Dr. Watson della situazione. È dovuto, come dicevi, all’ impronta iconica che ha avuto Carvalho per intere generazioni di lettori,ricordiamo che a Barcellona ci sono veri e propri tour che portano attraverso le strade e i luoghi di Carvalho, o è un semplice artificio letterario? In altre parole, hai pensato di far diventare Carvalho reale perché per tante persone è diventato una persona reale e perché in qualche modo aleggia comunque su Barcellona?
A me piace molto questa particolare relazione amore-odio con l’ autore, con colui che ti scrive. Che poi è quanto fanno gli scrittori fanno con la gente che li circonda, quasi vampirizzandoli. Inoltre, è stato il risultato di una scelta tecnica. Ho voluto, così come Vazquez Montalban, metterci qualcosa di mio. Dallo scrivere in prima persona al ringiovanirlo. Carvalho oggi avrebbe circa novant’anni e ho voluto dargli la possibilità di andare tranquillamente al mercato o a fare la coda in posta. Inoltre, quando Vazquez Montalban scriveva i suoi primi due libri, collaborava con una rivista che si chiamava Interviù e il suo vicino del piano di sopra, con cui si trovava a commentare i fatti, si chiamava Pepe Carvalho. Quindi ho voluto, a modo mio, riproporre questo gioco meta-letterario in quanto i giochi meta-letterari mi divertono parecchio.
Mi piace pensare che scrivere sia anche giocare. Ci sono molti autori come Jim Thompson che giocano scrivendo. Oppure altri come Nabokov. Mi piace che il lettore finisca per capire l’artificio letterario che viene usato scrivendo.
Queste sono le cose interessanti del tuo romanzo. Pepe Carvalho non ha novant’anni, quanti ne dovrebbe avere, ma molti meno e una cosa molto particolare è il rapporto che c’è tra lui e lo Scrittore. Sembra, analizzando il libro, un pirandelliano “Sei personaggi in cerca d’autore”, come se stessi staccando Carvalho da Vazquez Montalban per appropriartene, per renderlo un’altra persona. Sembra che non riesca a capire chi sia il proprio autore perché uno è lì un po’ nascosto nel limbo, mentre tu sei lì che lo scrivi. Non è forse una forma di passaggio il testimone tra Montalban e te? Tu lo hai ringiovanito, ma poca gente si pone veramente la domanda di quanti anni possa avere un Carvalho piuttosto che un Poirot o una Miss Marple…
Un’ ottima domanda e molto difficile. Io posso scrivere solo se sto lì. Non posso travestirmi e non sentirlo come mio. Devo appropriarmi di un personaggio e cambiarlo, non mi piacerebbe non poterlo fare. Credo che il romanzo ponga la domanda più sul chi è lo scrittore, chi sono io, quali sono i miei sentimenti. Però credo che sia interessante fare uscire Carvalho dai libri per poi rimettercelo con una veste un poco nuova. I miei riferimenti in questo non sono letterari, come lo Sherlock Holmes della BBC o il Batman di Christopher Nolan. I personaggi sono sempre gli stessi, ma si sono trasformati in altro. Sono convinto che non interessino i personaggi troppo neutri, troppo distanti dalle cose o troppo guidati dal narratore. Viviamo un periodo in cui la componente emotiva è molto importante. Quindi, gli stessi personaggi letterari devono vivere emozioni e tormenti come le persone reali di modo che queste possano identificarsi coi propri “eroi”. Questo perché ognuno di noi passa il tempo a dire quanto ci costa fare le cose senza mettersi in primo piano, senza lasciarsi coinvolgere in ciò che ci circonda.
Come hai affrontato il romanzo dal punto di vista stilistico? Si nota un certo dualismo quasi schizoide tra le parti corali in cui si muovono i personaggi e i momenti in cui Carvalho è preso dai suoi pensieri, con una confusione quasi Joyciana in cui il pensiero scende a cascata e, a volte, si fa fatica a capire quando si passa da un argomento all’altro. E’ uno stile che hai scelto per questo libro o è un tuo narrare tipico?
Credo sia una mia modalità di scrittura. Mi piace molto pensare ai libri come a un’esperienza, un’ esperienza cinematografica, un po’ sul modello di David Lynch. Mi piace molto la libertà anche della scelta musicale che in un libro è difficile da riprodurre. Non mi importa tanto che tu capisca esattamente quello che dico, ma mi interessa che tu percepisca bene che sta succedendo qualcosa. Quindi, in questo libro non c’è nulla di nuovo rispetto a ciò su cui sto lavorando da tanto tempo. La difficoltà qui è che è un libro poliziesco, ho dovuto seguire una trama investigativa, eppure , ogni volta che Carvalho cucinava un piatto, ho tenuto a sottolineare come si sentiva in quel momento. In definitiva, scrivere un libro su Carvalho per sorprendere sia il lettore che me stesso.
Poi c’era il fatto che il romanzo è stato impostato in prima persona quindi, ogni volta che ho dovuto parlare di alcune prostitute assassinate e sepolte sotto una montagna, ho pensato che se i morti avessero parlato ci sarebbe stata una maggior forza narrativa per il lettore. In un film questo può succedere, è accettabile. In un libro o tu parli in prima persona o in terza e i morti non parlano. Ciò che ho voluto fare e che difficilmente in un libro si può trovare, è stato un esperimento e credo che il lettore si faccia trascinare dal gioco.
Una delle parti più belle è quella della “mocciosa” che è sotto terra con le braccia rovesciate all’indietro che vuole parlare con la terra che le entra nella bocca. Poi, la figura di Charo che qui è diventata un ricordo ed è arrivata la fidanzata Zombie e c’è un bellissimo dialogo, all’inizio,che mi ha ricordato molto Philip Roth ne L’Inganno, dove ci sono questi dialoghi che vanno un po’ dove vogliono senza una direzione ben precisa. Volevo saper quindi qual è stata la letteratura che ti ha influenzato e quanto hai pensato che il poliziesco patisse sotto la tua lirica. Perché la storia poliziesca, francamente, non è la cosa più interessante di questo romanzo. In definitiva, quanto ti sei sentito responsabile della parte poliziesca e quanto di quella lirica?
Come personaggio, Charo utilizzava molti mezzi lirici: c’era un pappone che andava vestito in maniera piuttosto vistosa e lei lo descriveva come una tarantola sopra una pastel al limone. Quindi il lirismo, in realtà, c’è sempre stato nelle opere di Carvalho. Io mi sono concentrato più nella scrittura letteraria per fare un libro che provasse a fare letteratura più che un poliziesco puro che intrattiene la gente fino a che non si scopre l’assassino. Non mi interessava questo aspetto. Per me la questione principale erano i personaggi, l’ambientazione piuttosto che la trama, che non è particolarmente sorprendente. Credo che la letteratura sia sempre musica. Una pagina di Dostoevskij è bella perché, sia l’autore che l’eventuale traduttore, hanno scelto uno stile, un ritmo, un punto di vista particolare, perché la letteratura deve avere molto in comune con la poesia. E’ importante sentire che suoni bene.
Per quanto riguarda i dialoghi, io all’inizio li sistemo, li ordino e poi li taglio a metà. In questo sta il gioco col lettore: tu che stai leggendo, ti sforzi di finire la frase immaginando. All’inizio rimani spiazzato ma è lo stesso meccanismo dei film: all’inizio, non sai cosa succede, non sai chi sia il protagonista, ma cerchi coi tuoi strumenti di ricostruire il tutto, ecco questo è ciò che cerco di fare.
Mi concentro molto sulla lirica perché voglio scrivere libri letterari. E’ vero quando dici che la trama non è la cosa più importante perchè credo che tu debba mettere tutti gli elementi che ti han formato ma anche le letture, se non pure i tuoi ricordi d’infanzia dentro quest’armonia. Perché la letteratura è musica, è armonia, è poesia, deve suonare in modo che prenda e accompagni chi sta leggendo. Le storie son già state tutte scritte, ma se leggiamo uno come Garcia Marquez è perché ci piace come ce le racconta.
Hai citato Dostoevskij che scriveva quasi dei gialli. Diciamo che nel giallo moderno la trama poliziesca è sempre più che altro una scusa per descrivere tante altre cose…
In Spagna si chiama “Novela Costumbrista” ovvero un romanzo che tende a descrivere la vita della gente. È un ritratto di determinati momenti e quindi una scusa per parlare di tutto ciò che ci circonda. Credo che la struttura di un thriller funzioni molto bene, puoi parlare di tante cose e se hai della “suspanse” il libro ti coinvolge molto di più. E’ un genere difficile, penso che un autore che mi abbia influenzato sia David Piece, che racconta con spudoratezza la società inglese. Non ha nulla a che vedere con Montalban o con Massimo Carlotto, che mi piace molto, ma racconta un mondo noir con poche regole e frontiere
Lasciando da parte il romanzo, Pepe Carvalho nasce praticamente durante la rivoluzione franchista,dopo vive con Montalban e ora lo prendi tu. Sono successe tante cose da Barcellona da quel tempo, la città si è completamente rivoluzionata fino ad arrivare a oggi che è una Barcellona abbastanza divisa. Com’è il rapporto tuo e di Pepe Varvalho nei confronti della Barcellona di adesso?
E’ molto complesso, complesso a livello emotivo, e complesso a livello tecnico. Perché i romanzi sono artefatti che si proiettano in avanti. La situazione politica in Catalogna è talmente strana e a volte talmente assurda da non poter sapere cosa possa succedere la settimana prossima. Per un romanzo ciò è disastroso. Per questo io termino il romanzo prima dell’attentato sulla Rambla, un episodio che è stato come una linea di frontiera. Le due parti non si ascoltano, fanno propaganda, entrambe hanno una parte di ragione. Il problema per Pepe e per me è che io ho amici da entrambe le parti e ciò risulta piuttosto complicato perché la gente si sta ammazzando e non c’è alcuna questione di legittimità in ciò. Anche perché è anche una questione di social media. Perché una cosa è quanto succede per le strade, un’altra è quanto succede su Twitter. Per strada non succede assolutamente nulla, su Twitter pare che ci stiamo ammazzando. Pepe Carvalho è uno che non seguirà alcuna bandiera e Vazquez Montalban dice in un romanzo di non avere alcun compatriota, che sia catalano o sia spagnolo- Lui ama la sua gente, il suo popolo e ha un ideale di giustizia sociale in cui il debole si deve difendere dal potente, dal prevaricatore. E’ complesso e io al momento non so dove si andrà a finire ma credo che Carvalho voglia prendere posizione e mantenere un’ ambiguità a meno che non stia vivendo sotto una dittatura. Carvalho è un detective e non un poliziotto perchè è nato in un periodo in cui la polizia era pessima, era una polizia franchista.Montalban non poteva creare un poliziotto buono.
Pepe Carvalho, per noi in Italia era una sorta di anti-eroe quando è uscito, perché in fondo era un galeotto, però nel tuo romanzo pare tirarsi un po’ fuori, o meglio, rinchiudersi ulteriormente nel suo mondo, quasi staccandosi dalla realtà. Hai intenzione di continuare con Carvalho per farlo apprezzare a quelli che non l’hanno conosciuto o ti fermi qui?
Ho scritto questo libro un po’ per dimostrare a me stesso che potevo farlo, una sfida difficile per me. Una sfida anche per far tornare la voglia di leggere Carvalho a chi ne sentiva la mancanza e per farla venire a chi non ha mai letto un autore come Vazquez Montalban e valorizzarlo per la sua grandezza. La mia idea era di fare un solo libro. Non posso dirti se da qui a qualche anno ne scriverò un altro. Quando ti affezioni a un personaggio, poi vorresti tornare a vedere come sta, cosa combina. Ma, per ora, non lo so.
Nel tuo libro, il ruolo Biscuter risulta più importante di quanto lo fosse nei libri di Vazquez Montalban, Un personaggio che cerca un’emancipazione dalla presenza ingombrante del suo jefe ma che al tempo stesso lo avvolge di affetto e di attenzioni, quasi come suo analista, come suo tutore, prendendosi cura di lui. Cosa ti è piaciuto in lui se è giusta la mia interpretazione della tua attenzione nei suoi confronti?
Volevo che Biscuter avesse una sua propria personalità, si accoda al suo jefe diventando anch’esso una sorta di Watson. Per me è stato anche fare una sorta di similitudine tra i rapporti tra Catalogna e Spagna. La Spagna continua a ripetere alla Catalogna che andrà a trovarsi in una situazione disastrosa, che ci sarà un peggioramento, mentre dall’altra parte si pensa che, comunque, sarà un qualcosa di nuovo e divertente nel suo piccolo, senza pensare ai problemi di un divorzio. Quindi, l’ho utilizzato come piccolo paradigma della situazione. Entrambi hanno ragione. Sarebbe un disastro ma “nuovo”.
La Spagna sta conoscendo un bel momento nel noir e nel thriller, cosa potrebbe arrivare in Italia, secondo te, sia come romanzi o film o serie tv? Perché spesso qui arrivano solo Almodovar, Bigas Luna che aveva fatto Montalban o La Casa di Carta…
Io penso che a livello letterario ci sia una generazione che è la mia o di scrittori più giovani, che non ha vissuto la guerra, la transizione, quindi sono in grado di raccontare storie contemporanee, per esempio, Manuel Vilas, Marta Sanz, Fernando Aramburu,Santiago Lorenzo. Il successo , per esempio, di “Patria” è dato dal fatto che il conflitto basco è molto più recente. Per quanto riguarda il cinema, c’è da dire che gli attori spagnoli dei film d’azione non si capiscono quando parlano e quindi noi puntiamo sui sottotitoli, però sta un po’ migliorando la qualità e, comunque, è molto bello l’ultimo film di Almodovar. Però, in generale io noto un certo snobismo culturale, cioè, sappiamo , sia noi spagnoli che anche voi italiani, cosa sta uscendo in Inghilterra o negli Stati Uniti ma non sappiamo nulla dei paesi vicini. Magari sappiamo tutto di Londra, ma non abbiamo idea di cosa si produca a Marsiglia.
O ancora più emblematico il caso del Sud America: gli argentini non leggono i cileni che non leggono gli uruguayani che non leggono altri ma tutti leggono Paul Auster, per esempio.
Un’ultima domanda. Dal punto di vista sociologico, tu pensi che Carvalho possa essere un prototipo dell’uomo moderno che si deve confrontare con tutta una serie informazioni, input molto diversi e molto conflittuali che possono portare all’isolamento, all’autolesionismo, al cinismo estremizzato?
Diventeremo tutti Viejos, Solitarios y finales o c’è una redenzione?
Io credo che Carvalho debba lottare per non diventare un vecchio incazzoso. La sua sottomissione assoluta alla nuova tecnologia, alla velocità, lo sta trasformando in un dinosauro. Credo che, comunque, non sia un male fermare un poco la velocità e la tecnologia. Credo che la cosa che sta facendo salire la estrema destra nei paesi sia la paura del futuro da parte della gente che non è riuscita ad adattarsi e tende a rivolgersi al passato quando tutto era più ordinato, quando tutto era più sicuro. La estrema destra ci dice “vota me che torneremo al 1956”. Carvalho e io tentiamo a rimanere in questo mondo per provare a fermare la follia della velocità tecnologica.
MilanoNera ringrazia Carlos Zanon e la SEM per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a Carvalho – Problemi di identità: