Dalla quarta di copertina:
«L’inverno, quell’anno più aspro del solito, aveva ostentato per settimane il suo volto più arcigno, infliggendo ai cittadini di Cambridge alberi intirizziti e strade ghiacciate. Poi, miracolosamente la temperatura si era addolcita, regalando qualche giornata tiepida.
Alle prime luci dell’alba, con la casa che dormiva ancora, William Cyssel di Burghley scese in punta di piedi a pianterreno, facendo scricchiolare appena la stretta scala di legno.
A poco più di ventidue anni, biondo, occhi cerulei, atletico, ben tagliato, esibiva l’impronta familiare che faceva risalire i Cyssel a un fiero ceppo gallese.
Sbadigliò, stiracchiandosi per tutti i suoi sei piedi e mezzo d’altezza, e aprì la porta per far uscire Peggy, la cagna di casa.
Il viaggio che l’aspettava era lungo…»
PROLOGO
William Cyssel
Cambridge, febbraio 1543
L’inverno, quell’anno più aspro del solito, aveva ostentato per settimane
il suo volto più arcigno, infl iggendo ai cittadini di Cambridge
alberi intirizziti e strade ghiacciate. Poi, miracolosamente, la temperatura
si era addolcita, regalando qualche giornata tiepida.
La sera prima il tramonto, con il sole che si coricava trionfante al
di là della collina, aveva tratto in inganno anche gli anziani più smaliziati,
ma di notte lo scenario mutò. Il vento del nord prese a soffi are
a raffi che, addensando nubi e il gelo si impose di nuovo, immerlettando
di brina alberi, siepi e cespugli.
Alle prime luci dell’alba, con la casa che dormiva ancora, William
Cyssel di Burghley scese in punta di piedi a pianterreno, facendo
scricchiolare appena la stretta scala di legno.
A poco più di ventidue anni, biondo, occhi cerulei, atletico, ben
tagliato, esibiva l’impronta familiare che faceva risalire i Cyssel a un
fi ero ceppo gallese.
Sbadigliò, stiracchiandosi per tutti i suoi sei piedi e mezzo d’altezza,
e aprì la porta per far uscire Peggy, la cagna di casa.
Il viaggio che l’aspettava era lungo e le provviste erano pronte
sulla tavola di legno della cucina: un pezzo di pancetta, del formaggio
di capra e una grossa pagnotta.
Afferrò il coltello, appeso al gancio di fi anco al focolare, si tagliò
generosamente una fetta di pane, un po’ di formaggio, e li sovrappose,
addentandoli con appetito. Quand’ebbe terminato la sua parca
colazione, radunò il resto e lo mise con una borraccia d’acquavite
nella sacca di cuoio, preparata la sera prima, con dentro brache,
una camicia di ricambio e calze pesanti.
Il camino era spento. Rabbrividì, frugando invano sotto le ceneri,
per scovare qualche residuo di braci. La riserva di legna del deposito
di fi anco alla stalla scemava troppo in fretta per farne consumo
anche di notte. Ma presto Mattie, la rustica paesana con funzione
di fantesca tuttofare, si sarebbe alzata, provvedendo a riaccendere.
Socchiuse la porta, per far rientrare la cagna. Peggy si soffermò
al suo fi anco scodinzolando, il muso adorante levato al padrone in
attesa della grattatina, poi a passo felpato andò a raggiungere i suoi
cuccioli, una massa aggrovigliata, pelosa, indistinguibile vicino al
focolare.
Cyssel indossò la giubba di lana, calzando i pesanti stivali di vacchetta
si avvolse nel mantello e, afferrando la sacca, aprì di nuovo la
porta del cottage.
Una corrente d’aria lo colpì in viso, annunciando una giornata
tormentata dal gelo. Richiuse il battente dietro di sé, si strinse addosso
il mantello foderato di scoiattolo e superò di corsa i pochi
metri che lo separavano dalla stalla, rischiando di scivolare su una
lastra di ghiaccio verdastro.
Il buio fi tto l’accecò per un attimo. Cercando a tentoni la lucerna
appesa di lato, l’afferrò e l’accese. All’interno, il freddo quasi
polare di quella mattina era parzialmente temperato dal calore delle
bestie. Fianco a fi anco, rinchiusi negli stabbioli c’erano una mucca,
ricchezza e vanto della famiglia, una capra, due pecore, un’oca,
e nella stia qualche pollastro macilento…
Spirefox, il suo cavallo, un robusto incrocio di buon cuore, masticava
con distacco la poca biada della mangiatoia. Lo bardò di
fretta e l’avviò all’aperto tirandolo per la cavezza.
Il biancore compatto del cielo minacciava neve. Una folata gli
gonfi ò il mantello. Una giornata sbagliata per viaggiare, indubbiamente.
Ma il dispaccio di suo nonno, il governatore della contea, ex
sceriffo di Northamptonshire e giudice di pace di Rutland, era
chiaro. Voleva vederlo. Forse c’era un posticino per lui alla corte
dei principi…
Dopo Natale, William si era piegato, chiedendo il suo aiuto. Con
Thomas che camminava appena e un altro bambino in arrivo non si
poteva più fi ngere, fregiandosi di un orgoglio insensato, che li co-
stringeva a patire, tirando la cinghia. Si doveva chinare la testa,
chiedere… e ora ubbidire.
Non aveva ancora terminato il tirocinio di professore, il soldo
come insegnante aggiunto di greco a Cambridge era insuffi ciente
per mantenere la famiglia. La seconda gravidanza provava sua moglie.
Thomas aveva avuto la tosse, un’eruzione, la febbre. La dote di
Mary, ben poca cosa, quaranta sterline, era andata tutta per pagare
il dottore… e Mattie.
Si sorprese a rimpiangere di aver deluso suo padre contraendo
quel matrimonio riparatore con la fi glia del suo insegnante. Certo
era suo dovere, ma…
Mary aveva un musetto triangolare incorniciato di capelli corvini.
Due occhi di velluto. Un vitino di vespa e voleva William Cyssel.
William aveva tre anni più di lei, viveva nella stessa casa. I Cheke
erano gente colta, molto istruita, Peter Cheke dirigeva il Saint John
College di Cambridge, ma la famiglia disponeva di pochi mezzi e il
professore per arrotondare gli introiti ospitava a pagamento gli studenti
nella sua abitazione.
William vedeva Mary ogni giorno. Entrava nella sua stanza e si
chinava su di lui mentre studiava, dolce, innamorata. Il corpetto si
tendeva sul seno, mostrando voluttuose rotondità da cogliere.
Chiudeva gli occhi, fi ngendo di non vedere ma soffrendo le pene
dell’inferno.
Quando l’esquire Richard Cyssel, suo padre, intuendo la tresca,
l’aveva tolto dalla casa dei Cheke, spostandolo al Gray’s Inn, ormai
il pasticcio era fatto.
La strada era lunga e le condizioni della carreggiata pessime, ma
sperava di arrivare in giornata. Cyssel saltò in sella e toccò coi talloni
Spirefox che si avviò al trotto ubbidiente, prendendo la direzione
di Stamford. Contava di proseguire senza sosta fi no a notte.
A metà della mattinata aveva cominciato a nevicare e ormai la
coltre fi tta e ingannatrice non faceva che crescere.
Il desinare aveva offerto zuppa di cavolo e radici con un pezzetto
avaro di aringa per insaporire. Calda, ma poco nutriente.
« Il tempo peggiorerà ancora » mugolò Mattie immusonita, girando
il porridge d’orzo che borbottava nel paiolo.
« Hai ragione. Lascia, ci penso io » ordinò Mary Cyssel, prendendo
il suo posto sullo sgabello accanto al fuoco. Poi regolandosi
per le necessità della casa: « Prendi altra legna, servirà. Dopo vai da
mia madre. Ci ha promesso un canestro di mele e dei dolcetti di
semolino. Chiedi anche un sacchetto di cipolle, le metteremo a stufare
sotto la cenere. Ma prima di tornare a casa passa dalla stalla.
Mungi la mucca, voglio fare il burro, stasera avremo burro fresco
col pane… »
« E il padrone? » interrogò la fantesca scontrosa a mezzabocca.
« Il padrone non tornerà fi no a dopo domani, almeno » rispose,
scoprendosi timorosa al l’im prov vi so. Non le piaceva che il marito
fosse lontano. La notte aveva dormito poco e male, ma si era sforzata
di restare quieta nel suo angolo. Negli ultimi tempi William, pur
gentile con lei e affettuoso col bambino, era spesso accigliato. Non
era più il giovanotto allegro sempre pronto a rincorrere la moglie e
a metterle le mani sotto le gonne. Gli pesava quella vita di stenti e
Mary non poteva impedirsi di sentirsene responsabile.
Si mosse, facendo dondolare lo sgabello per trovare una posizione
più comoda. Le si erano gonfi ate le gambe. Il bambino, ma certo.
Lo sentiva più basso, pesava, ma è presto, troppo presto, si rassicurò.
Facendosi forza, scacciò quel pensiero di malaugurio e ingiunse
alla ragazza: « Forza, muoviti, vai! »
Il cottage pur modesto era più spazioso della maggior parte di
altri nel villaggio. Pian terreno e primo piano. Il tetto era di ardesia
e i muri di pietra esibivano ben due strette fi nestre coi vetri. Un vero
lusso se paragonate ai buchi sigillati da pelli di animali di molti
vicini.
Mattie tornò presto, già bianca di neve. Si scosse il mantello prima
di entrare, poi avanzò, accumulando un carico di pezzi spaccati
vicino al camino.
« È bagnata, brucerà male » protestò pessimista come al solito.
Poi ripartì mugugnando per adempiere alle altre incombenze.
Mary sedeva vicino al fuoco e girava. La fantesca aveva ragione,
la legna umida sfrigolava, spremendo bava verdastra. Una scintilla
si levò in aria, ricadendo sullo strato di frasche odorose sparse a
terra e che coprivano il plancito di tavole sgrossate, sprigionando
una fi ammella. D’istinto, allungò un piede per smorzarla, ma il movimento
brusco le strappò una fi tta di dolore.
Si ripiegò su se stessa, circondando con le braccia il ventre appesantito
dalla seconda gravidanza troppo ravvicinata e sofferta, che
approssimava agli otto mesi.
Thomas si ruzzolava e gattonava parlottando, sopra un tappeto
di stuoia intrecciata, dove Peggy stava allattando i suoi cuccioli.
Il bambino, non bello come i Cyssel, bruno, squadrato, assomigliava
come una goccia d’acqua a Peter Cheke il nonno materno.
Ma era robusto, cresceva bene, e da poco era passato con disinvoltura
dal latte di capra, misto a pane masticato, alle pappe di farina e
orzo. Cominciava ad alzarsi da solo, facendo i primi passi. Bisognava
tenerlo sempre sotto controllo.
Una seconda fi tta più forte, quasi insopportabile. Un attimo e la
veste di Mary Cyssel fu fradicia. Fece per alzarsi, e con mossa incontrollata
rovesciò il paiolo sul fuoco.
E lei gridò, il viso contorto in una smorfi a di sofferenza, un grido
acuto di dolore e di paura…
Ma nessuno sentì. Nessuno poteva sentirla.
Solo Peggy le si fece subito vicina, ma non poteva far niente per
la padrona.
Mary si lasciò cadere a terra, la gonna alzata scomposta, le gambe
divaricate, soffrendo, urlando, gemendo fi nché quel grumo caldo,
vischioso, quel fi glio con poca vita che non trovò neppure la
forza di vagire, abbandonò il suo ventre, lacerandola.
Poi l’emorragia, un fi ume di sangue crudele, inarrestabile, uccise
anche la madre.
Thomas aveva fame. Chiamò e, alzandosi traballante, andò a
scuoterla. Ma la mamma non rispondeva. Era stesa a terra, immobile
con gli occhi spalancati nel nulla. Il pianto impaurito del bambino
si levò stridulo a epitaffi o, a preghiera.
Peggy annusò l’odore di sangue, di morte e, pietosa, spinse, forzando
col muso, il cucciolo orfano di uomo al caldo, vicino ai suoi.
Così li trovò Mattie, un’ora dopo.