Paolo Panzacchi, scrittore e blogger, è nato a Sassuolo nel 1984. Dopo aver vissuto per anni a Bologna, ora abita e lavora a Ferrara. Nel 2014 è stato pubblicato il suo romanzo d’esordio “Dreamin’ vicious”. Proprio in questi giorni, esce il suo nuovo libro, “L’ultima intervista”, pubblicato per Maglio Editore.
Paolo, tu nella vita ti occupi principalmente di economia e banche… Come e quando hai deciso di affiancare ai numeri l’attività di blogger e scrittore?
Lavoro in un istituto di credito da quasi sei anni dopo aver portato a termine studi economici. La passione per la scrittura mi accompagna da sempre, fu la mia insegnante di lettere delle scuole superiori a incoraggiarmi in maniera particolare, avendo intuito questa mia predisposizione.
Il tuo nuovo libro, “L’ultima intervista”, semplificando molto, è composto dalle storie dei tre personaggi principali, Guglielmo, Elena e Alba. Le loro vite continuano a scontrarsi e allontanarsi, sempre più spinte verso l’autodistruzione. C’è qualche riferimento a personaggi reali o è tutto dovuto alla fantasia dell’autore?
Per costruire questi personaggi ho preso spunto dalla realtà di tutti i giorni, da persone conosciute in modi del tutto casuali, anche in fila al supermercato, alla posta, fino ad arrivare anche agli amici più stretti. Poi ho appuntato su un quaderno tutte le peculiarità, le piccole ossessioni, le manie, i riti, insomma tutto ciò che potesse essere interessante e in seguito ho reso questi comportamenti esasperati, esagerandoli volutamente per creare una miscela esplosiva. La realtà è stata fondamentale per la caratterizzazione dei tre personaggi, prevalentemente per ciò che riguarda Alba ed Elena, due donne forti, dalle mille sfaccettature. Ti dirò di più, molto spesso ci si intestardisce a ricercare ideali di donna nel mondo del cinema, dello spettacolo o altro, in realtà c’è molto di straordinario nelle donne che abbiamo accanto.
Per restare sempre in tema, ci sono delle analogie tra te e il tuo protagonista, Guglielmo, anche lui scrittore di successo. Ebbene, quanto c’è di Paolo Panzacchi e delle sue esperienze personali in Guglielmo?
Beh Guglielmo è un scrittore di grande successo, nel romanzo si fa riferimento anche alla sua vittoria al Premio Campiello, io sono solamente all’inizio e ho ancora parecchia strada da fare. In Guglielmo di me c’è tutto e niente. Con questo personaggio mi sono divertito nel creare situazioni volutamente paradossali, a fargli fare scelte difficilmente condivisibili, a fargli vivere una vita al limite, immaginando come io avrei affrontato certe situazioni, sapendo perfettamente che nel mio vissuto difficilmente concepirei di trovarmi a nuotare in un mare così torbido e tempestoso.
Nel tuo libro compare un altro importantissimo personaggio, Cat. Senza svelare troppo, ci vuoi parlare di lei e di cosa rappresenta?
Cat è il mal di testa con cui ci svegliamo al mattino di una giornata importante, il dente cariato che trascuriamo, è il pacchetto di sigarette vuoto quando abbiamo bisogno di fumare e non ci sono tabaccai nel giro di chilometri, è il pranzo di Natale con i parenti fino al tredicesimo grado al quale non vogliamo andare, è l’amico logorroico che incontriamo proprio quando andiamo di fretta. Cat è il conto da pagare di ogni vita portata troppo all’estremo che si spera sempre di non dover pagare ma che, inesorabile, arriva per tutti.
Nei tuoi libri, grandissimo rilievo hanno l’analisi psicologica dei protagonisti e la loro caratterizzazione interiore. Da dove ti deriva questo tuo interesse per gli aspetti più profondi dell’essere umano?
Deriva da una curiosità che negli anni si è trasformata in bisogno. Sono sempre stato fortemente attratto da tutte le variabili in grado di condizionare le scelte di vita degli esseri umani e vedere che impatto avessero nel quotidiano delle persone, in questo romanzo ho giocato con i miei personaggi, ho messo sui loro binari molti ostacoli e glieli ho fatti affrontare senza metterci nulla di mio, facendoli scontrare con essi in modo che potesse emergere il loro carattere dando modo a Guglielmo, Elena e Alba di misurarsi con sfide sempre crescenti, quasi come a far verificare al lettore il loro progressivo processo di maturazione o di autodistruzione.
Abbiamo detto che tutti i protagonisti del libro vivono delle esistenze al limite, border-line, tese all’autodistruzione. Però lasci intravvedere una speranza, una possibilità di ravvedimento alla fine della vicenda… E’ così anche nella vita reale?
Deve essere così, me lo auguro e ne sono profondamente convinto. Nel romanzo i tre personaggi hanno un’evoluzione molto differente. Elena, dopo un vissuto molto travagliato, comincia a raccogliere i cocci della propria vita e a comporre uno splendido mosaico. Alba continua nel proprio percorso autodistruttivo, riuscendo però ad avere sprazzi di lucida razionalità che le consentiranno di conoscere l’origine di questa sua perdizione. Guglielmo sembra inesorabilmente condannato, senza alcuna possibilità di riscatto, salvo poi sorprenderci tutti e ovviamente lo farà a modo suo, con un colpo di teatro.
Guglielmo, Alba ed Elena sono giovani e hanno delle vite di successo, in ambiti differenti. Ma tutti e tre hanno lasciato l’Italia per crearsi una nuova vita in altre capitali europee… In questa tua scelta hai voluto rappresentare anche quella che è l’attuale situazione socio-economica italiana?
C’è stata anche questa volontà, ma non è stato lo scopo principale, ritengo una scelta molto coraggiosa quella che molti ragazzi fanno trasferendosi in un altro paese, ho molta stima di chi lo fa e di chi riesce a esprimere la propria professionalità in contesti molto competitivi come quelli di cui ho parlato anche nelle righe di questo romanzo. Ambientando il romanzo a Londra, Parigi e nella parte riguardante Alessia, la sorella di Guglielmo, Bruxelles, ho voluto togliere i personaggi dal loro contesto di provenienza, privandoli quindi dei luoghi a loro cari, obbligandosi a crearsi nuove abitudini e complicando ulteriormente le loro sfide personali.
Paolo, tu sei giovane e hai già pubblicato il tuo secondo romanzo. Che consigli daresti ad un giovane scrittore che volesse affrontare seriamente questo percorso?
Prima di tutto gli offrirei una birra e gli chiederei se davvero voglia affrontare questa sfida. Scherzo, ovviamente. Il primo consiglio che darei è sicuramente quello di lavorare molto sulla storia che si vuole raccontare, poi di caratterizzare molto luoghi e personaggi, non avendo paura di esagerare nel farlo. Poi viene il momento più complesso e delicato: la ricerca di un editore. Posso dare a tutti il consiglio che una grande scrittrice ha dato a me qualche tempo fa, cioè quello di affidare il proprio manoscritto a un contesto come quello delle agenzie letterarie in modo da avere una valutazione quanto più precisa, puntuale e professionale possibile del proprio lavoro.
Oltre che scrittore, sei anche un blogger… ci vuoi parlare di questa tua altra passione?
Ho aperto il mio blog, “L’ultima stazione del mio treno” a novembre del 2010, in una fase in cui avevo voglia di raccontare, come li chiamo io, i piccoli drammi quotidiani delle nostre bellissime vite agrodolci. Negli anni è stata un’esperienza che ha saputo ripagarmi, soprattutto con il confronto attivo che c’è sempre stato con chi ha avuto la gentilezza di leggermi. Da novembre dello scorso anno “L’ultima stazione del mio treno” ha avuto una grande evoluzione e si è inserita in un contesto più organico che è il mio sito personale www.paolopanzacchi.it sul quale tengo anche una rubrica, “I passeggeri del mese”, che raccoglie numerose interviste ad autori del panorama letterario italiano.
Per concludere, quali sono i progetti futuri e i sogni nel cassetto di Paolo Panzacchi?
Proprio in questi giorni sto per ultimare la prima stesura di un romanzo noir ambientato tra la bassa bolognese e la Svizzera, una saga familiare in un mix di azione, finanza, mercenari e altissima tensione. Inoltre da poco ho iniziato a lavorare su un nuovo progetto narrativo. Sogno nel cassetto? Migliorare sempre in modo da poter essere, un giorno, un buon autore di romanzi a tempo pieno.