Sabato scorso, nell’ambito del festival NebbiaGialla, si è tenuto un dibattito sul tema “Il noir è letteratura di serie B“. Al tavolo dei relatori, oltre al sottoscritto, c’erano gli editori Marcello Baraghini e Marco Vicentini, la scrittrice Francesca Mazzucato e il critico letterario Gian Paolo Serino. Il dibattito è stato molto acceso. Peccato che per ragioni di tempo non abbiamo potuto far intervenire di più il pubblico. Provvediamo oggi pubblicando una mail di una lettrice che era presente a Suzzara. Vorrei che tutti voi interveniste in questo interessante dibattito. Per un paio di giorni sospenderò la pubblicazione di nuovi articoli in modo da dare a tutti la possibilità di seguire con più attenzione il dibattito. A proposito sono disponbili le foto della prima giornata di NebbiaGialla.
Ho partecipato all’incontro di sabato al Politeama (“Il noir è letteratura di serie A o B?”) e ne sono rimasta assolutamente insoddisfatta. Sono convinta che se ci fosse stato più tempo per gli interventi dei lettori si sarebbe fatta maggiore chiarezza sul tema. Anche se si trattava chiaramente di una provocazione, non sono affatto convinta che il noir sia morto, piuttosto, come accade per la letteratura in genere, si è trasformato, comprende varie tipologie e non è identificabile nel “giallo che si consuma in spiaggia, d’un fiato, per arrivare alla pagina del colpevole, senza caratterizzazione dei personaggi e dell’ambientazione, stile Oscar Mondadori a uscita quindicinale”. Le persone che hai invitato al dibattito non mi sembravano, per loro stessa ammissione, dei conoscitori del genere e quindi le loro opinioni erano già affette da preconcetti che io non condivido assolutamente. Lasciando perdere il discorso sull’editoria che commercializza i libri attraverso operazioni del tutto simili al lancio di prodotti alimentari, alla qualità scadente dei libri che vengono lanciati come best-sellers destinati al grande pubblico (di serie B) e al vero lettore (ormai più raro del panda) che fruga fra gli scaffali più nascosti in cerca degli scrittori di nicchia, che mi sembra abbia avuto fin troppo risalto all’interno del dibattito, mi premeva piuttosto spezzare una lancia a favore degli appassionati di noir come me. Io mi ritengo un’onnivora della letteratura, a parte i saggi che trovo di una noia mortale a prescindere dall’argomento, quindi a seconda dei periodi, degli stati d’animo, del tempo a disposizione, scelgo di leggere un libro piuttosto di un altro. Compro tutti quelli che mi colpiscono, mi incuriosiscono, a prescindere dal genere o dal fatto che conosca o meno l’autore. Li metto da parte e poi li leggo in un momento che mi sembra adatto. Alcuni autori mi piacciono molto e non mi fermo fino a quando non ne ho letto ogni singola opera; altri, pur essendo famosi e celebrati, sono stati relegati in un angolo della mia libreria e mai più riletti. Pur leggendo di tutto, ho una predilezione per il noir, che non ritengo affatto un genere minore. Leggo indifferentemente il noir pscicologico e quello d’azione, quello d’ambiente e quello improntato sulle indagini tecnico-scientifiche-anatomopatologiche, Camilleri e Connely, PD James e la Cornwell, Piazzese e la Gimenez-Bartlett, Deever e Faletti.
Secondo me tutto dipende, come per qualsiasi altro genere letterario, da cosa ti aspetti da ciascun libro, dal tuo rapporto unico e speciale con la lettura in quel determinato momento della tua giornata o della tua vita. Ci sono libri che ho iniziato più volte prima di riuscire a terminarli, altri per i quali ho abbandonato la partita, altri ancora che ho comprato in edizione economica dopo averli letti in prestito dalla biblioteca per il piacere di possederli e poterli rileggere, altri che non acquisterei mai ma mi incuriosiscono e quindi me li faccio prestare; ci sono autori che hanno uno stile di scrittura che non mi piace ma che descrivono storie e personaggi che ritengo adatte a diventare sceneggiature (ad esempio Lucarelli). Perché il noir dovrebbe essere diverso dagli altri generi letterari nel suo rapporto con il lettore? Mi ha lasciato perplessa anche il discorso della Mazzucato sul perdente, ingrediente fondamentale affinché si possa definire un racconto di un certo spessore. Quale genere più del noir è basato su storie di perdenti? L’assassino, il criminale, il colpevole non è sempre un perdente? Ovviamente non nel senso banale che alla fine riceverà la giusta punizione per i suoi crimini, catturato dal prode investigatore, ma piuttosto per il fatto che alla base del suo comportamento, dei suoi gesti, della sua aberrazione non c’é sempre un disagio, un disallineamento nei confronti della realtà delle persone “normali”, “inserite”, una sofferenza che sfocia nella violenza? Anche l’investigatore stesso, nella maggior parte dei casi, ha una personalità complessa, spesso cerca di immedesimarsi in colui a cui dà la caccia per prevederne le azioni fino ad esserne quasi travolto, perdendo lucidità, fatalmente attratto da ciò che per mestiere deve combattere (ovviamente sto generalizzando e forse banalizzando). Comunque anche il protagonista, l’investigatore, è spesso un perdente per certi aspetti: per dedicarsi interamente al suo lavoro può aver alienato gli affetti, la famiglia, oppure proprio nell’ambito stesso della conclusione della storia può risultare in qualche modo sconfitto, nonostante l’esito positivo della vicenda, perché scopre di avere molte più affinità col suo antagonista di quanto pensasse. Difficilmente un noir si conclude con l’esaltazione della cattura del colpevole, più spesso si chiude con le riflessioni per nulla trionfalistiche dell’investigatore che trae dalla storia spunti di intimismo. Mi piacerebbe conoscere la tua opinione a riguardo.