Surf city



kem nunn
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meridiano zero
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Huntington Beach, California. Surf City, il paradiso dei surfisti: otto miglia e mezzo di spiagge senza interruzione; un luogo da sogno, tutto onde, profumo di olio solare e caldi corpi in bikini.
Tutto? Forse no. Sono gli anni ’80, e Huntington non è più il posto in cui, secondo l’inno surf di Jan e Dean, “sono tutti fuori a surfare o c’è una festa in corso”: in città, una banda di bikers capitanati dal duro e tormentato Preston e un gruppo di surfisti riuniti intorno al misterioso e carismatico Hound, si godono le ultime giornate di un’instabile, pacifica, convivenza.

Le prime, casuali, domande di Ike Tucker, giovane meccanico arrivato in città per far luce sulla scomparsa della sorella Ellen – ragazza ribelle fuggita dalla vecchia stazione di servizio nel deserto verso l’oceano per cercare fortuna o per sottrarsi agli sguardi troppo insistenti dello zio Gordon, partita per il Messico con un paio di surfisti, e mai più tornata -bastano a riportare in superficie le ferite mai rimarginate di un tragico passato; un passato nel quale tutti gli equilibri sono stati stravolti dalla scomparsa di una giovane donna, misteriosamente legata ai capi delle due bande rivali, all’epoca amici inseparabili. E di Ellen, in città, non c’è nessuna traccia. Così, mentre le due bande precipitano in un sanguinoso confronto, Ike si rende conto di non avere scelta: se vuole ritrovare sua sorella, deve conquistare la fiducia dei surfisti che l’hanno accompagnata nel suo viaggio verso il sud, anche a rischio della vita, a costo di perdere l’amore, e di tradire un amico…

Scritto nel 1984 dall’allora esordiente Kem Nunn, Surf City, opera inaugurale di un filone suggestivamente battezzato surf-noir, mette in scena, con grandissima qualità visiva e tecnica cinematografica -sembrerà forse scontato, ma il termine è qui usato in senso strettissimo: la solitudine del deserto è resa con silenziosi, bollenti, incredibili, campi lunghi, lo spaesamento prodotto dall’arrivo in città è testimoniato da una serie di panoramiche a schiaffo e l’inserimento di suono-ambiente la cui fonte è rigorosamente off, la costruzione della tensione nel personaggio avviene, all’inizio, con una sorta di azzeramento del volume (cfr. pp. 49-50) ecc.-, il cozzare tra due visioni del mondo profondamente americane e fortemente divergenti: da un lato il duro pragmatismo proletario dei bikers, un po’ vagabondi alla Kerouac -ma senza la minima cognizione del concetto di “dharma”- un po’ cavalieri erranti da far west; dall’altro, la vita sopra le righe dei surfisti, malati d’adrenalina che ipocritamente predicano spirituali risalite verso una misteriosa sorgente.

E tra i motociclisti con le loro Harley, uomini rudi ma onesti, dalle mani callose e rotte dal duro lavoro, simbolo della generazione distrutta dal Vietnam e abbandonata al suo destino (nella giungla come in patria), e i surfisti, disertori – ma, viene da dire, senza motivi politici – o già figli degli anni ’80, sempre in cerca di una scorciatoia, una fonte di reddito “facile” o un facoltoso mecenate, lo scontro è inevitabile…

Point Break incontra Il selvaggio (e non Easy Rider, i cui protagonisti, ben più aperti e meno disillusi del vecchio Preston, distrutto dall’esperienza del Vietnam, dimostrano ancora una qualche compatibilità con la cultura hippy), in un romanzo un po’ noir e un po’ western di formazione (nel senso ormai “classico” dei Racconti di Stephen Crane) coinvolgente, ben costruito e condito, soprattutto sul finale, da inserti velocissimi in perfetto stile action anni ’80.

Paragonato a L’ultimo vero bacio di James Crumley e La strana vita di Cutter e Bone di Newton Thornburg (George P. Pelecanos ha definito le tre opere “romanzi rivoluzionari”, vere e proprie sfide alla tradizione giallistica; cfr. G.P. Pelecanos, Introduzione, in N. Thornburg, La strana vita di Cutter e Bone, Fanucci, Roma 2008, pp. 7-10), Surf City, riproposto in Italia da Meridiano Zero, è un testo che non dovrebbe mancare nella libreria di ogni serio cultore del genere.

fabrizio fulio bragoni

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