Il libro (di un’altra/altro) che avresti voluto scrivere e il libro (tuo) che NON avresti voluto scrivere.
Il libro mio che NON avrei voluto scrivere non esiste. Non lo dico per presunzione, ma perché ne ho pubblicato solo uno, finora… =)
I libri altrui che avrei voluto scrivere sono tanti. Qui me ne vengono in mente due: “Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo, romanzo dal respiro mitologico ed epico, che credo sia uno dei romanzi più importanti eppure più sottovalutati del Novecento italiano. E poi, sicuramente “American Tabloid” di James Ellroy, che in qualche modo è una summa del noir contemporaneo, capace di tenere storia, suspense e sperimentazione legati assieme a filo doppio
Sei uno scrittore di genere o scrittore toutcourt? Perchè?
Uno scrittore, secondo me, è uno scrittore e basta. Anche gli scrittori “di genere” in realtà scelgono di specializzarsi in un determinato genere per i motivi più vari. Ma un’opera letteraria non si ferma alla sua
etichettatura. Personalmente, il noir è secondo me un modo di intendere e servirsi di un certo immaginario: ma i noir che reputo più riusciti non sono mai fedeli al genere. Prendete “Romanzo criminale” di De Cataldo: lo definireste ‘solo’ un noir? Oppure, “Nada” di Manchette: è un noir o un romanzo sociale? I libri che si servono di un genere per parlare d’altro, sono quelli realmente meritevoli di essere letti. Anche il mio “Cane rabbioso” non saprei se definirlo come un noir, o semmai una parodia nera del noir.
Un sempreverde da tenere sul comodino, una canzone da ascoltare sempre, un film da riguardare.
Ultimamente sono un po’ ossessivo. Non posso fare a meno di ascoltare 3 cose ininterrottamente sul mio iPod: “‘A camorra song’io” degli ‘A67,una vecchia traccia dei 24Grana intitolata “Nun me movo mai” e – che non c’entra niente con questi – l’album “Liar” dei Jesus Lizard.
Sul tavolino accanto al letto ho sia l'”Odissea” (tradotta da Emilio Villa) sia una copia de “Il lercio” di Irvine Welsh. Mentre scrivo queste righe sto rivedendo “Goodfellas” di Martin Scorsese. Mi dispiace, forse sono un po’ eclettici, come consigli di visione/lettura/ascolto…
Si può vivere di sola scrittura oggi?
In Italia credo si contino sulle dita di una sola mano, gli scrittori capaci di vivere dei propri libri. E intendo, dei soli libri. Tolti i diritti d’autore (irrisori), molto spesso occorre ruotare a 360 gradi attorno alla scrittura per sbarcare il lunario: collaborazioni con giornali, riviste e, se si è fortunati, una sceneggiatura.
Il che è tutto tempo tolto al lavoro di narratore.
Normalmente si crede che gli scrittori guadagnino chissà quanto: in Italia credo che siano una delle ‘caste’ più bistrattate. Come a dire “La scrittura è una passione, non può certo essere un lavoro”. Un anticipo di un libro pubblicato basta si e no per pagare qualche spesa: da qui poi l’annosa questione dello scrivere solo ciò in cui si crede e del fare marchette. Ma a volte anche fare marchette è un’ambizione.
Personalmente, non so come avrei fatto se non avessi avuto in questi 3 anni una borsa di studio per il mio dottorato all’Università. Che sta finendo…
Favorevole o contrario alle scuole di scrittura creativa? Perchè?
Assolutamente contrario. Sono inutili. O meglio, parafrasando una frase di non ricordo più chi: “Le scuole di scrittura creativa sono utili nella misura in cui consentono agli scrittori che le tengono di sopravvivere”… Certo, esistono le tecniche di strutturazione della trama, di costruzione del plot, di editing: ma
sono tutte cose che si apprendono innanzitutto leggendo. E leggendo. E leggendo. Poi, acquistando qualche buon manuale di script. Ed esercitandosi.
Non posso condannare chi tiene corsi di scrittura creativa perché vuol dire che è riuscito a trovare un modo per “svoltare”. Anche se, spesso, chi sa insegnare ‘la tecnica’ non la sa applicare. (paolo franchini)