Doppio incontro con Angelo Petrella e Luigi Romolo Carrino, scrittori napoletani che ci raccontano di Napoli e di sé stessi.
Tra di voi ci sono dieci anni di differenza, ciò vi fa vedere Napoli con occhi diversi?
Angelo: A Napoli è mancata una generazione di scrittori negli anni 80, c’è una trasversalità di scrittori e i 30-40enni si trovano per la prima volta a descrivere la città con lo stesso sguardo.
Il romanzo napoletano esisteva solo come neorealista o romanzo borghese, della Napoli moderna, da “strada” non se ne era ancora parlato. Non ci sono molti scrittori che utilizzano Napoli per le loro storie, alcuni le ambientano come pretesto. Mi sento più vicino alla scrittura di Luigi che a quella di altri.
Luigi Romolo: Sono d’accordo con Angelo, credo che ci sia una sorta di scanner, chi ha tra i 20 e i 40 anni ha lo stesso linguaggio, sia che lavori come impiegato delle Poste o che sia un camorrista.
Cominciando da Peppe Lanzetta che ha aperto la strada, c’è stata tutta una generazione che adesso colloquia. Non c’è autoreferenzialità, io leggo tutti gli altri scrittori napoletani, apparteniamo tutti a un humus comune in quanto napoletani più che come scrittori.
Ci siamo nutriti tutti con la stessa sostanza, non leggiamo solo autori napoletani ma tutto ciò che si produce a Napoli.
A: Tornando alla generazione mancante, i teatranti hanno fatto da gap e la scrittura è passata attraverso il teatro. Annibale Ruccello a Napoli ha fatto quello che Tondelli ha fatto per la generazione del Dams, ha parlato dei travestiti che guardano Raffaella Carrà in TV e si vestono come lei. E’ stato il primo a descrivere questo tipo di umanità. Gli scrittori classici come Matilde Serao e Domenico Rea avevano piuttosto uno sguardo ideologico sul popolo.
Come sono i rapporti tra gli scrittori napoletani, avete contatti tra di voi, vi frequentate?
A: A Napoli ci sono scrittori, anche di generazioni diverse, che amano scambiarsi libri e idee, tra i quali Andrej Longo, Maurizio De Giovanni, Alessandra Amitrano e Davide Morganti.. Non abbiamo padri, siamo arrivati tutti da soli e possiamo parlare liberamente delle cose.
LR: Io interagisco di più con il teatro, con la poesia. Tra scrittori non si fa cerchio, ma c’è discussione.
Vi conoscete da molto tempo?
A + LR: Ci siamo conosciuti a Galassia Gutemberg all’inizio del 2008 a Napoli. Abbiamo simpatizzato e siamo diventati amici.
Dove vivete?
A: Io vivo a Spaccanapoli, nel cuore della città, dove Giuseppe Montesano ha ambientato “Il Corpo di Napoli”. E’ il mio mito letterario in assoluto. Sono tornato a Napoli da un paio di anni, ho frequentato l’università a Roma, sono stato a Siena per il dottorato e a Parigi… perché è Parigi. Ora scrivo e lavoro come sceneggiatore per “La Squadra”.
L.R.: Vivo a Roma, torno spesso a Napoli a Santa Lucia che è il mio quartiere. Prima di stabilirmi a Roma ho girato tra Ottaviano, Nola Stoccarda.
Sono informatico, dirigo una collana di poesia per “Libero di scrivere” e una collana di narrativa votata al thriller che si chiama Psyco per la Magnum. A differenza di Angelo cerco di preservarmi un’area fuori dalla scrittura, mi piacciono gli algoritmi. Angelo ha la fortuna di fare le cose che gli piacciono, invece io a volte quando mi chiedono una prefazione o una recensione mi tiro indietro. Vorrei poter conservare sempre questo ‘potere’. Ecco la ragione dell’altro lavoro.
Che metodo usate per scrivere?
A: Io faccio una scaletta e poi scrivo a mano a mano passando da un personaggio all’altro. Per scrivere “La città perfetta ho impiegato due anni, 1 anno e mezzo solo per documentarmi.
LR: Io scrivo molto, sono ridondante. Una volta scritta la storia, lavoro in sottrazione
Qualcosa sui vostri ultimi libri?
A: Ne “La città perfetta” (Garzanti) mi interessava parlare degli anni della pantera che, dopo il Movimento Studentesco, è l’ultimo grande movimento di lotta per abolire il disegno di legge Ruberti.
La Napoli di oggi è simile alla Napoli di allora, sembra che non sia cambiato niente. Allora era ancora possibile lottare e vincere, oggi non si parla nemmeno di una lotta collettiva. Perfetta non è un aggettivo adatto per Napoli, è semplicemente un eufemismo per “perfetta per i bastardi” quali sono i protagonisti del mio libro, Sanguetta, Chimicone e l’Americano.
L.R.: Oggi non ci sono più gli italiani arrabbiati, soprattutto quelli che dovrebbero dare una spinta. Nessuno reagisce fino a quando non viene toccato l’orticello (telefonino, macchina ecc.). C’è il bon ton sociale.
In “Acquastorta” (Meridianozero) mi piaceva raccontare una storia d’amore avversa, le cose non sono per sempre ma valgono per un certo periodo, non è solo l’amore ma la forza di portare avanti le cose.
A.: Il libro di Luigi si può leggere in molti modi, rosa, di formazione, tragedia e noir…